di Olga Merli direzione@calasandra.it
8 agosto 2013
In occasione dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto legge in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, che ha stabilito pene più severe per chi commette atti di violenza nei confronti delle donne, vi proponiamo un’intervista alla Dottoressa Giuliana Covella proprio in tema di femminicidio. Giornalista e scrittice, la Covella ha da poco pubblicato il libro “Fiore…come me. Storie di dieci vite spezzate”, di cui vi abbiamo parlato qualche giorno fa (clicca QUI per rileggere l’articolo).
Dottoressa Covella, secondo Lei quali sono le ragioni di un fenomeno come il femminicidio, negli ultimi anni così in ascesa?
Se parliamo di femminicidio, alla base di questa escalation c’è, secondo me, la progressiva affermazione del ruolo della donna nella società, nella politica, nella vita familiare, sui luoghi di lavoro. Di conseguenza si continua a vedere la donna come un essere inferiore e, specie nei legami affettivi, accade che l’uomo risenta negativamente del ruolo per così dire di comando di chi gli è accanto. Accade dunque, come nel caso di Giuseppina Di Fraia o Enza Cappuccio, che sia vista come una sfida il fatto che la donna tenti di ribellarsi ad una sorta di schiavitù familiare, cui dovrebbe invece – nell’ottica del proprio marito-padrone – soccombere.
Dati alla mano, nel 2012 risultano essere stati compiuti oltre 120 omicidi a danno di vittime di sesso femminile. Più del 40%, aveva già subito molestie psicologiche e fisiche da parte di colui che poi si rivelerà il suo assassino. Quali crede che siano le dinamiche intrinseche che si sviluppano e l’excursus mentale che conduce tali violenze ad evolversi in episodi delittuosi?
L’incapacità dell’uomo di relazionarsi in maniera costruttiva e alla pari con la propria controparte femminile.
Si stima che un omicidio su tre si consumi tra le mura domestiche. Mariti, compagni, amanti e conoscenti sempre più spesso nei panni dell’insospettabile orco. Uomini incapaci di rielaborare un rifiuto. E’ d’accordo?
Assolutamente d’accordo. Assistiamo ad una inadeguatezza delle risposte maschili e all’attivazione di percorsi aggressivi al posto del confronto.
In sette casi su dieci, l’epilogo drammatico era stato preceduto da altrettante denunce e segnalazioni alle autorità preposte. L’inefficacia delle misure preventive appare, per certi versi, scontata. Quali interventi pensa possano essere utili per tentare di arginare questo terribile fenomeno?
Di sicuro la certezza della pena e soprattutto pene più severe. È assurdo pensare che chi uccide una donna, solo perché aveva lasciato il proprio compagno, marito o fidanzato sconti solo pochi anni di carcere o, peggio, passi per un soggetto incapace di intendere e di volere al momento del delitto e, di conseguenza, benefici di ulteriori sconti di pena. È il caso degli assassini di Nunzia Castellano, Emiliana Femiano e Fiorinda Di Marino. Uomini che avevano già dato segni di squilibrio, che avevano già accoltellato queste donne o altre che le avevano precedute, che sono stati denunciati o che, nel caso di Emiliana, addirittura scontavano la pena ai domiciliari. Emiliana era andata, infatti, fino a Terracina per incontrare un’ultima volta il suo aguzzino, che scontava in casa la detenzione. Un fatto assurdo. Una morte annunciata che si poteva evitare se la nostra giustizia non fosse malata.
Recenti studi sull’argomento hanno dimostrato che i Paesi “ad alto reddito” si stanno assestando ai primi posti in questa terribile classifica dell’orrore, e potrebbero presto sottrarre il primato ai paesi del Sud Est asiatico e dell’America Latina, teatro indiscusso, fino ad ora, di questa carneficina al femminile. La donna, dunque, vittima sacrificale nel labirinto disgregante della crisi profonda che l’identità maschile sta vivendo?
Più che parlare solo di crisi dell’identità maschile, credo in generale il fenomeno sia sintomo di una società malata. Una società vittima della globalizzazione, dove i giovani in primis sono condizionati da esempi negativi. Non a caso, negli ultimi mesi, molte vittime di femminicidio sono giovanissime. Come la ragazza di 16 anni uccisa dal fidanzatino nel Cosentino a fine maggio 2013. Casi che fanno riflettere e che ci fanno capire come sia fondamentale partire proprio dai giovani per una educazione ai sentimenti e al concetto di pari opportunità e violenza di genere.
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