Questa storia parla di un lupo mannaro. Ma non è la classica storia dell’orrore, in cui un uomo morso da un lupo, durante una notte di plenilunio, si trasforma in un mostro e semina il terrore: il protagonista di questa storia non ha zanne, né artigli; il lupo ce l’ha dentro, nel cuore. Questa storia parla di un ragazzo che, nonostante sia nato in questo mondo, si sarebbe trovato molto più a suo agio all’inferno. Perché le atrocità che ha commesso durante la sua breve vita rendono difficile reputarlo un normale essere umano. Questa è la storia del Lupo dell’Agro romano. Questa è la storia di Maurizio Giugliano.
La vita di Maurizio è segnata fin dalla nascita (1962): l’errato utilizzo del forcipe (una sorta di pinza che serviva a facilitare l’uscita del neonato) gli causa un ritardo psicomotorio; a otto anni, poi, viene investito da un’auto e riporta una commozione cerebrale. I genitori, Italo e Maria (che lavoravano nei campi pascolando le vacche), si convincono che questi due episodi abbiano irrimediabilmente segnato la psiche del bambino, e giustificano così la sua spiccata inclinazione a comportamenti violenti e sadici. Fin da piccolo, Maurizio tortura e uccide animali indifesi per il gusto. Fa di peggio: tenta di uccidere il fratello minore, Roberto, e brucia il volto ad un altro fratello, Franco; finché, un giorno, strappa un occhio ad un compagno di classe con una forchetta.
Allontanato da scuola, il padre lo prende con sé a lavorare nei campi. Ma il ragazzino non è molto d’accordo: uccide svariate bestie prima di dar fuoco – dopo esser stato legato al letto e ustionato con un ferro rovente dalla madre per punizione – alle stalle del padre. A quindici anni è già in galera per rapina: è la prima di una serie di arresti per furto, ricettazione, rapina e lesioni. Diciassettenne, è in carcere per aver violentato una donna. Forse è in questo momento che completa la sua metamorfosi interiore: Maurizio sviluppa un odio feroce nei confronti delle donne, accompagnato da un’insaziabile brama di vendetta misogina.
Nel 1983 Maurizio si sposa con Rosa, una minorenne, e la mette incinta. Ma il 1983, paradossalmente, è anche l’anno di nascita del Lupo.
Il 15 luglio di quell’anno, in un cantiere sito sulla via Flaminia, viene rinvenuto il corpo senza vita di TheaStoppa, prostituta cinquantenne: è stata violentata, strangolata con una delle sue calze e finita con un colpo di pistola alla testa; il suo volto, in uno strano e aberrante rituale di umiliazione, è coperto di terriccio e sassi.
Una settimana dopo, viene ritrovato il corpo esanime di un’altra prostituta, Luciana Lupi, trentacinque anni: dopo averla strangolata, l’assassino ha coperto il suo volto con del terriccio.
Appena due giorni, e un nuovo cadavere spunta a Castelporziano: Lucia Rosa, trentaquattro anni; strangolata col suo reggiseno.
E’il 5 agosto quando Giuliana Meschi, trentadue anni, impiegata comunale, viene uccisa e abbandonata in un campo di granturco a Sabaudia: l’autopsia stabilirà che l’assassino le è prima saltato addosso, calpestandola ferocemente; poi, l’ha sgozzata. Questa volta, però, qualcuno ha visto. Un contadino, che dice di aver visto un tale fuggire a piedi dal luogo del delitto e allontanarsi poi a bordo di un’auto, una Ford Capri gialla col tettuccio nero.
Ma ciò non basta a fermare il lupo: se ne sta quieto per un po’; poi, ricomincia a cacciare. Il 31 ottobre 1983, in una strada poderale a pochi chilometri da Pomezia, viene rinvenuto il corpo di Fernanda Durante, cinquantatré anni, pittrice dilettante; il giorno prima, una mostra a via Margutta aveva esposto i suoi dipinti. Prima di finire trucidata con trentaquattro coltellate, Fernanda è stata stuprata dal suo assassino.
Il 21 gennaio 1984, Catherine Skerl, diciassette anni, italo-svedese, di ritorno a casa da una festa, viene violentata e strangolata; il suo corpo sarà ritrovato in una vigna di Grottaferrata. Qualcuno vede la ragazza salire su uno scooter guidato da un giovane alto e massiccio: la polizia non ci mette molto ad arrivare a lui, Maurizio Giugliano; spesso, il giovane se ne va in giro con una Vespa (armato di pistola e coltello a serramanico).
Il Lupo dell’Agro romano viene carcerato nell’aprile dell’84. In cella con lui c’è Agostino Panetta, ventisei anni, ex-poliziotto, capo della cosiddetta “banda dell’Arancia meccanica”, che, tra il 1979 e il 1983, fu responsabile di rapine, sequestri di persona e stupri tra Roma e Torino. Giugliano, ad un certo punto, racconta i suoi delitti a Panetta; costui, di conseguenza, riferisce tutto ai giudici. E’così che Maurizio Giugliano viene accusato di sette omicidi. Perpetrati in appena otto mesi.
Ma il compito dei giudici, durante il processo al mostro, è arduo. Giugliano stesso si autoaccusa dei sette delitti. Ma sarà tutto vero? O quello che si dice un mostro è semplicemente un mitomane? Uno psicolabile incapace di distinguere tra realtà e delirio? Fra perizie psichiatriche contrastanti (è giudicato semi-infermo di mente per il delitto per il delitto Meschi; totalmente infermo per il delitto Stoppa; sanissimo, invece, nel caso dell’assassinio di Lucia Rosa) e “numeri” del mostro (durante il processo per il delitto Rosa, Giugliano prima si rimangia la confessione rilasciata in fase istruttoria, poi perde il controllo: salta sul bancone della Corte, strappa i fascicoli, lancia oggetti contro la giuria), si susseguono i processi per i vari delitti.
Verdetto: colpevole per il solo delitto Meschi (perché riconosciuto, in quel caso, da alcuni testimoni), e condannato a sedici anni; il magistrato, però, tenendo presente la seminfermità mentale, commuterà la pena in dieci anni da scontare nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino.
Ma non è finita. Sì perché, durante il processo al mostro, la Squadra Mobile di Venezia solleva un atroce dubbio: è stato Maurizio Giugliano ad uccidere, il 3 agosto 1983, Maria Negri, di Punta Sabbioni, cinquantuno anni, casalinga? Quel giorno, Giugliano era in viaggio con la moglie e la cognata tra Venezia e Iesolo; quando, durante una sosta per far benzina e comprare le sigarette, Maurizio vede Maria Negri affacciata ad una finestra. Sarebbe successo tutto in pochi minuti. In preda ad un raptus, Giugliano si sarebbe introdotto nell’abitazione della donna; l’avrebbe strangolata con il cavo dell’aspirapolvere.
Non solo. Nel 1993, Giugliano sta scontando la pena nell’ospedale psichiatrico di Montelupo. Chiede una sigaretta al compagno di cella; ma costui, per qualche motivo, gliela nega. Giugliano, allora, risolve la cosa nel modo a lui più congegnale: soffocando il compagno con un cuscino. L’anno dopo, a causa di un infarto, Maurizio Giugliano, trentuno anni, muore.
Fine della storia. Ma tante, e oscure, sono le domande che risuonano nella testa di chiunque venga a conoscenza di questa vicenda. E’stato veramente Giugliano ad uccidere tutte quelle donne? Oppure: ha ucciso soltanto quelle donne? Inoltre: che cosa ha permesso che, di tanti processi, solo uno abbia portato all’effettiva condanna del mostro? E come mai tante perizie, ognuna con un esito diverso?
E poi ci sono domande più “ontologiche”. Domande del tipo: cosa spinge un bambino a seviziare e ammazzare animali indifesi? Come fa un ragazzo a trasformarsi, di punto in bianco, in un lupo mannaro, capace di trucidare le proprie vittime e straziarne i corpi?
Ma, soprattutto, ci sono loro. Le vittime. Le loro vite, la loro quotidianità; e poi, le loro urla, i loro lamenti, che riecheggiano nella nostra testa quando proviamo ad immaginare cosa devono aver provato quando quel ragazzo, un ragazzo come tanti, nella notte più buia della mente, si è trasformato in lupo; e le ha ghermite.
di Salvatore Napoli