Per ora, le speranze di un nuovo processo a Olindo e Rosa si fermano qui. La Corte d’Appello di Brescia ha respinto la richiesta di incidente probatorio su alcuni reperti della strage di Erba, dichiarandola inammissibile, che era stata avanzata dalla coppia ai fini di un processo di revisione della loro condanna all’ergastolo. Quella sera nella casa di via Diaz furono massacrati il piccolo Youssef, sua madre Raffaella Castagna, sua nonna Paola Galli, la vicina Valeria Cherubini. L’unico sopravvissuto alla strage -ma con gravissime lesioni- fu Mario Frigerio, testimone d’accusa al processo. Era l’11 dicembre 2006 quando l’Italia fu sconvolta da un massacro apparentemente senza senso, fatto di una spranga, due coltelli e fuoco. In cui era stato ucciso anche un bambino di due anni.
La revisione processuale è un istituto che esiste in Italia dagli anni Sessanta, a seguito di un caso giudiziario che fece scandalo, la condanna all’ergastolo dell’innocente Salvatore Gallo: ovviamente ha rarissime applicazioni, sennò sarebbe di fatto un quarto grado di giudizio. E già tre gradi in molti casi sono tanti, a parere di chi scrive. Nell’ultimo mezzo secolo, è stata concessa la revisione a circa 6-7 processi. Gli avvocati dei Romano volevano far analizzare dei peli trovati sulla felpa del piccolo Youssef, i margini ungueali delle vittime, un accendino trovato sul pianerottolo della famiglia Castagna, una traccia ematica rinvenuta sul terrazzino della casa del delitto, i tre giacconi indossati quella sera da Raffaella Castagna, Valeria Cherubini e Paola Galli, un mazzo di chiavi trovato vicino ai cadaveri, tre tende di casa Frigerio (a una si aggrappò Valeria Cherubini, nel tentativo disperato, forse, di aprire la finestra per salvarsi dai fumi dell’incendio). Il tutto alla ricerca di profili genetici diversi da quelli degli imputati.
Ma, va detto, trovare qualcosa sotto le unghie di cadaveri di 12 anni fa è come vincere all’Enalotto; l’accendino e le chiavi erano stati cosparsi dai liquidi usati dai Vigili del Fuoco per spegnere l’incendio; i giacconi della Castagna e della Galli erano semi-bruciati o bagnati; le tre tende non erano coinvolte nell’azione degli assassini. Così la Corte d’Appello non è stata d’accordo: le richieste «appaiono (…) generiche, ed in quanto tali, meramente esplorative e inidonee a superare il vaglio di ammissibilità richiesto dal codice di procedura penale (art. 631) secondo cui gli stessi elementi in base ai quali si chiede una revisione devono essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto». Insomma, le analisi proposte non sono, per i giudici, così importanti da ribaltare le prove che hanno portato, nei tre gradi di giudizio, all’ergastolo che i Romano stanno scontando (gli esami, scrivono, non hanno «un’astratta potenzialità distruttiva del giudicato con il quale si deve in qualche modo confrontare»). Prove come le confessioni, ad esempio; un alibi traballante; la testimonianza di Frigerio che riconobbe Olindo; l’esistenza di un solido movente.
Alla fine i giudici hanno ricordato agli avvocati dei Romano che lo strumento della revisione è «eccezionale» e non «un quarto grado di giudizio». Gli avvocati rispondono che ricorreranno in Cassazione. Staremo a vedere cosa accadrà.
di Fabio Sanvitale