Delitto Moro – Non è una domanda da due lire: quelle tre auto sono un pezzo della nostra storia, il momento di massima potenza delle Brigate Rosse in Italia e l’inizio della loro caduta. Molti penseranno che sono state rottamate, visto che è roba del 1978 e che tutti i processi sono ormai conclusi da tempo. E invece no. Le auto ci sono ancora tutte, e hanno una loro storia. Vediamola.
La Fiat 130 blu scura sulla quale viaggiava Aldo Moro. E’ targata ROMA L59812, è stata restaurata e si trova presso il Museo del Centro Prove della Motorizzazione Civile di Roma in via di Settebagni. Sulla fanaleria sinistra si vede bene l’urto provocato dalla 128 guidata da Mario Moretti, che all’incrocio tra via Fani e via Stresa dette il via alla strage. Sul parabrezza, all’altezza dello specchietto retrovisore, un foro di proiettile dimostra quanto sia molto più difficile che nei film sparare con un mitra e fare centro. Alla guida c’era l’appuntato Domenico Ricci. Sul sedile di guida c’è ancora il suo sangue. Moro era seduto esattamente dietro di lui. Il resto del sedile posteriore era ingombrato dai giornali di quella mattina e le famose tre borse del Presidente si trovavano invece dietro il sedile del passeggero, su cui era seduto l’ombra di Moro, il maresciallo Oreste Leonardi. Il tessuto bianco degli interni, che avvolgeva i sedili, in parte non c’è più: è stato prelevato all’epoca dalla Scientifica per essere analizzato, così come mancano alcuni vetri. Quelli dei posti anteriori li hanno mandati in frantumi i proiettili del commando. Se andate a vedere la portiera di destra troverete i fori in uscita di altri proiettili. Guardando l’auto, possiamo ancora immaginare il terrore di Moro che si getta sul sedile per ripararsi, mentre vede cadere la sua scorta in un uragano di 90 pallottole; e alcune gli sibilano sopra, per spaccare il vetro dietro il passeggero. E Leonardi, che si ruota inutilmente, per reazione, cercando di coprire col suo corpo quello di Moro. Lo trovarono così, mezzo girato. A sparare furono Raffaele Fiore e Valerio Morucci.
L’Alfetta bianca della scorta. Si trova all’autocentro della Polizia di via Magnasco ed è la più impressionante, quella davanti alla quale si può solo restare in silenzio. Quest’auto – targata ROMA S93393- precedeva quella di Moro e fu quella che urtò l’auto di Moretti. La fiancata sinistra ha 17 fori di proiettili, 17 arrugginiti segni di morte. La morte è passata da qui e colpì, quella mattina, l’agente Giulio Rivera, che guidava, e il vicebrigadiere Francesco Zizzi, sul sedile del passeggero. I vetri anteriori sono andato in pezzi. Sono di pelle rossa, gli interni. Pochi i fori sul lato destro. Dal lato sinistro furono Franco Bonisoli e Prospero Gallinari a fare fuoco, finchè l’agente Raffaele Iozzino, che era seduto dietro, approfittando che s’era inceppato il mitra di Bonisoli, non riuscì a uscire e fu l’unico a reagire sparando qualche colpo verso il brigatista, mancandolo. Che invece mise mano alla pistola e girando intorno all’auto e abbassandosi riuscì a colpire il poliziotto. Il bagagliaio mostra ancora i segni di questi colpi. Il lunotto posteriore è in frantumi. Ogni buco s’è portato via, negli anni, un pezzo di vernice bianca, per lasciare una chiazza di ruggine. Delle tre, è l’auto che non ha avuto fortuna: se ne sta lì, coperta di polvere nera, il cofano socchiuso, mentre la ruggine fa il suo corso. Come una tomba dimenticata.
La Renault 4 in cui fu ritrovato Moro, 55 giorni dopo. L’avevano rubata a Filippo Bartoli, una brava persona. A cui fu restituita molti anni dopo. Lui la tenne nel cortile di casa sua, sotto pioggia e sole. Non la espose, non la dette a nessun museo. Ormai era diventata parte della sua vita e quando morì, solo allora, dispose che l’auto sarebbe andata allo Stato. Così, la Renault 4 dalle Marche è tornata a Roma, all’Autocentro; e qui è stata sottoposta a restauro conservativo. E oggi è in ottima forma. Quando i lavori della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (che ha commissionato alla Scientifica una ricostruzione tridimensionale delle traiettorie dei colpi) saranno conclusi, la R4 sarà esposta in quel bellissimo museo delle Auto Storiche della Polizia, che sta in via dell’Arcadia. Ma i segni di morte ci sono. Perché questo portabagagli è quello in cui è stato ucciso Moro. Mi sono chiesto spesso come avesse fatto lui, che era alto, a entrarci, finchè non mi sono accorto che avevano ribaltato il sedile posteriore. Sul pianale, c’è un incavo che è solo quello di un proiettile. Il portellone ha le cicatrici del ferro divelto dagli artificieri, in quella mattina di maggio di tanti anni fa. La targa è ancora quella rubata, messa dai brigatisti: ROMA N57686. Anche il cofano è stato divelto quel giorno. Il contachilometri è fermo a 53.839.
Questa è la storia delle auto del delitto Moro. Succedeva in Italia, a Roma. Era il 9 maggio del 1978. Se guardo queste auto, sembra ieri.
di Fabio Sanvitale