Era il 2001, precisamente il 28 aprile. Suor Lucia, 62 anni, una domenica mattina, se ne andava su viale Trastevere. Torna al vicino convento delle Suore Missionarie Francescane del Verbo Incarnato. Torna dall’aver portato la comunione ad un’anziana signora. Di colpo, siamo all’altezza del civico 228, un forte dolore al collo. Suor Lucia non avverte tuttavia nient’altro di strano e continua a camminare, fin quando non incrocia due ragazzi che la guardano e le dicono: “ma lei sanguina!“. In effetti, sì: le hanno sparato. Un proiettile è entrato dal collo e s’è infilato nel polmone sinistro. Il bello è che suor Lucia, resasi conto che qualcosa non va, continua tuttavia a piedi fino al convento: e qui la prendono e la portano all’Ospedale Forlanini.
Prima domanda: chi è che si mette a sparare a una suora? Seconda domanda: e da dove, poi? Da un palazzo, certo, ma anche dalla collina di Monteverde. Bella rogna, per la Mobile. Mentre suor Lucia viene operata, partono le perquisizioni di tutti gli appartamenti di numerosi palazzi. E qui, la sorpresa: si trovano una tonnellata di armi non denunciate. Una tonnellata. Ma nessuna, nessuna, è quella che ha sparato alla suora.
Il pensiero torna subito a Marta Russo: il caso è di soli quattro anni prima. L’impressione è la stessa: qualcuno ha voluto provare l’arma, senza rendersi conto (o sapendolo benissimo) che era carica. E alla fine c’è andata di mezzo una suora che passava per puro caso. Che non ha mai ricevuto minacce e che vive a Roma solo da tre anni. E che alla fine s’è salvata.
A dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che il crimine è spesso cieco e casuale, come una fortuna rovesciata. Quanto al colpevole, beh, non è mai stato trovato. Nessuno sa chi abbia premuto il grilletto, quella mattina d’aprile di tanti anni fa, nel centro di Roma.