E poi ci sono i cani da cadavere, quelli che entrano in gioco quando non c’è più speranza, ma che ti risolvono magari un caso di omicidio che più che un caso freddo è freddissimo. Sono loro che usano l’olfatto per scoprire quello che gli uomini non vedono o non sanno trovare, che seguono odori impercettibili per noi ma presenti per loro, molecole invisibili che sono come impronte nella sabbia. Oltre i cani da maintrailing, da ricerca tracce, ci sono loro: specializzati nel ritrovare cadaveri, utilissimi sia in caso di omicidio che di scomparsa.
Noi di Cn abbiamo fatto conoscenza con quelli della Polizia di Stato ed oggi ve li presentiamo. Spesso chiamati come ultima spiaggia, su casi dove le indagini tradizionali non hanno dato risultati, questi splendidi animali fanno –diciamolo subito- un’attività integrativa delle indagini tradizionali e scientifiche. Le care vecchie indagini e i cani, insieme, possono ottenere risultati straordinari. Pensate all’omicidio Samantha Fava: venne trovata dalle unità cinofile della Polizia di Stato dietro un muro. Di più: il corpo era ormai mummificato ed era stato insaccato con del cellophane e ulteriormente messo in un sacco. Poi murato.
Attualmente sono cinque per tutta Italia: due di stanza a Malpensa (Orso e Dogan) e tre a Palermo. Manca, e la Polizia lo sa benissimo, un’altra squadra al centro, a Roma. Ci stanno lavorando. Ma da quando sono operativi? Questo progetto non è nato ieri. I cani da cadavere sono addestrati in italia, dalla Polizia, già dal 2008 e sono operativi dal 2012. I primi in assoluto furono quelli americani, nel 1974. Dal 2011 esistono invece due importanti collaborazioni: una tra noi e la polizia svedese, che ha una lunga tradizione in questo senso; e una con l’Università di Pavia, dove c’è la professoressa Simonetta Lambiase, entomologa forense, che cura fin dall’inizio l’addestramento teorico del personale delle Unità Cinofile. L’allevamento è basato a Nettuno, dove la nostra Polizia ha la scuola sottufficiali (la più grande d’Europa, 20.000 metri quadri). L’addestramento pratico invece viene fatto a Malpensa: e non è una cosa breve. Innanzitutto, la scelta in Italia è stata quella di usare solo cani lupo, per quanto non ci sia una razza più predisposta di altre ad avere l’olfatto migliore. Poi, ogni animale deve rispondere a standard internazionali ed avere tutte le certificazioni necessarie per poter operare: insomma, cani (e anche gli uomini) superano molti esami prima di potersi mettere in caccia.
Anche perché il cane non può fare tutto da solo. Il conduttore lo integra, lo guida, ne coglie i segnali. E’ una simbiosi. Ad esempio, un differente colore della terra, i segni del terreno smosso (dovuti al seppellimento o successivi, per il collasso della cassa toracica), quei troppi insetti proprio in quel punto del terreno.
E poi si mettono a fare cose straordinarie. Li abbiamo visti operare in acqua: su un battello, il cane abbaia quando intercetta molecole sul pelo dell’acqua, mentre la barca si muove lentamente, percorrendo una griglia predeterminata. E quelle molecole erano –si scoprirà poi, quando i sommozzatori andranno a vedere- di un corpo ormai sul fondo, uno scheletro al quale pochi brandelli di pelle erano ancora attaccati. Sembra un prodigio: ma il cane ha sentito l’odore di invisibili particelle di materiale umano decomposto, affiorate in superficie. Poi, certo, non è detto che il corpo sia a fondo proprio nel punto in cui l’animale aveva abbaiato, perché l’acqua sposta le molecole in superficie e ogni bacino ha caratteristiche sue. Ma intanto l’area è stata enormemente ristretta e tocca agli uomini, adesso, fare il passo finale.
Insomma, ci vuole pazienza. Sia in acqua che sul terreno è possibile che si debbano fare più interventi: ci vuole tempo, specie se l’area è vasta. Ma il premio di sentirlo abbaiare vale tutta la fatica.
di Fabio Sanvitale
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