Ancora una volta arriva la notizia di una raccapricciante mattanza per mano di un ex fidanzato, incapace di rassegnarsi alla fine di una relazione. Vincenzo Padano, ventisettenne romano e reo confesso, ha tragicamente messo fine alla vita di Sara Di Pietrantonio bruciandola viva. Una storia durata circa due anni e interrotta recentemente per volontà della ragazza che, come dichiarato dalle amiche, ultimamente era soggetta a pressioni, a reazioni morbose e a violenza psicologica da parte del suo ex fidanzato. È la notte tra sabato 28 e domenica 29 maggio, siamo a Roma, in Via della Magliana, quando Sara sta per rientrare a casa inconsapevole, però, che dentro casa sua non metterà più piede. Una macchina inizia a speronarla e la fa accostare. È Vincenzo Paduano che si assenta dal suo lavoro di guardia giurata per pedinarla, inseguirla e ucciderla. Entra nella macchina della ragazza, iniziano a discutere e lui, che aveva organizzato tutto, getta del liquido infiammabile prima nell’autovettura e poi sul corpo di Sara. Lei riesce ad uscire e a scappare, chiede disperatamente aiuto a ben due macchine che in quel momento si trovavano a passare su quella strada, ma niente, nessuno porta soccorso. L’ex fidanzato, che la sta rincorrendo, riesce a raggiungerla, a darle fuoco e a spegnere per sempre la vita di Sara. Dopo aver compiuto questo orrore, con una freddezza inaudita, Vincenzo Paduano torna regolarmente a lavoro. Il corpo della giovane viene ritrovato dalla madre che, preoccupata nel non vederla rientrare in casa, esce con lo zio a cercarla e apprende la tragica realtà. Sul posto erano già giunte le forze dell’ordine, che non avevano potuto che constatare il decesso della ragazza. Non ci sono parole per così tanto orrore, una crudeltà che fa rabbrividire, preoccupare e che paradossalmente è anche difficile da descrivere.
Questo tipo di delitti vengono comunemente definiti “omicidi passionali”, e non è del tutto errata questa definizione, seppur qualcuno la pensi diversamente. Troppo spesso, nell’immaginario collettivo, si è erroneamente accostato il termine “passione” come sinonimo di “Amore”. No, non è così. La “passione” racchiude molte volte delle dinamiche di sentimenti violenti e intensi che possono minare un equilibrio e una capacità di controllo. L’Amore, invece, è ben altra cosa, e storie come questa, che purtroppo hanno raggiunto dati statistici allarmanti, non hanno davvero nulla a che vedere con questo nobile, seppur raro, sentimento.
È grave e fa male l’indifferenza dei passanti che, davanti ad un grido di aiuto, non hanno messo un piede sul pedale del freno e non hanno digitato sul cellulare 112, 113, 118. Non avevano capito la gravità di quello che stava succedendo, dicono. O forse hanno preferito non capirla, pensiamo noi. Altro argomento, questo, che ha suscitato molto dibattito: chi, ormai terrorizzato da una società che riserva non poche tragedie e truffe, sostiene che la paura di incappare in false richieste di aiuto porti ad estraniarsi completamente e a non intervenire; chi dichiara che, a volte, a far del bene si rischia di entrare in situazioni in cui paradossalmente ci si ritrova dalla parte del torto. Ma c’è un dovere e un obbligo civico e morale che, in questi casi, impone un soccorso, o almeno una chiamata (per giunta gratuita) alle forze dell’ordine. La speranza è che in futuro chi si troverà a ricevere una richiesta di aiuto si ricordi di Sara, e agisca diversamente. Facciamo tesoro di questo prezioso insegnamento che una giovane ragazza, suo malgrado, ci ha lasciato.
Di Livia Ciatti