“Il primo pensiero va a Yara, vittima di un delitto efferato e terribile”, queste le parole di apertura dell’avvocato Claudio Salvagni durante l’arringa difensiva tenutasi ieri, venerdì 27 maggio, al processo per l’omicidio di Yara Gambirasio, che vede Massimo Bossetti come unico imputato. Nell’aula del Tribunale di Bergamo si è svolta, infatti, la quarantunesima udienza per il delitto della tredicenne di Brembate di Sopra e a parlare, questa volta, sono stati i difensori che, dopo la lunga requisitoria del Pm Letizia Ruggeri, hanno illustrato i motivi per cui Bossetti sarebbe innocente, cercando di demolire e screditare le prove esposte dall’accusa la settimana scorsa.
“Un processo mediatico e pieno di suggestioni che possono condizionare, dove si è voluto cercare un mostro a tutti i costi”, così Salvagni e Camporini hanno definito il lungo iter processuale iniziato nel 2014, basato, secondo la difesa, sul nulla. Non vi sono, secondo i legali, assolute certezze, indispensabili, invece, per condannare una persona: soprattutto se la pena richiesta è l’ergastolo. Gli avvocati, che a gran voce hanno ricordato ai giudici di aver giurato sulla Costituzione e non su un libro di biologia, hanno parlato di manovre e forzature nella ricerca di prove per accusare il loro assistito. Ma entriamo nello specifico: per prima cosa si è evidenziata la mancanza di testimoni e di movente e che le armi utilizzate per colpire la ragazza non sono mai state trovate. Il primo capo d’accusa preso in esame è stato il Dna, considerato dal Pm Letizia Ruggeri come “prova regina”. Secondo la difesa, però, l’assenza del Dna mitocondriale (che ricordiamo essere identificativo solo della linea materna) invaliderebbe la prova scientifica del nucleare, ritrovato sugli slip e sui leggings di Yara e risultato compatibile con quello dell’imputato; successivamente Salvagni e Camporini hanno analizzato la questione delle telecamere che avrebbero ripreso, secondo l’accusa, il furgone di Bossetti aggirarsi nell’ora e nel luogo della scomparsa della tredicenne: per i difensori il video non sarebbe altro che il frutto di esigenze di comunicazione, a beneficio della stampa, per creare mediaticamente un colpevole; poi si è puntato il dito contro le affermazioni del colonnello del Ros Michele Lorusso che, dopo aver parlato di fili d’erba nelle mani della vittima e radicati nel terreno, non solo non ha dimostrato con foto quanto dichiarava ma è stato appurato che quei fili d’erba erano invece staccati dal terreno; infine, la questione del cellulare, che secondo l’accusa era rimasto spento dalle 17.45 del 26 novembre 2010 fino alle 7.30 della mattina successiva, mentre per la difesa in realtà era acceso ma non aveva generato traffico telefonico (cosa che, a detta dei difensori, si era già verificata sia nei giorni precedenti che in quelli successivi alla scomparsa di Yara).
Infine si è parlato di una serie di “colpi bassi” che, sempre secondo Salvagni e Camporini, non hanno fatto altro che dipingere Bossetti come un mostro da incolpare a tutti i costi: dallo scavare nella sua vita privata alla ricerca di amanti che non si sono mai palesate fino allo scambio di lettere con la detenuta Gina, che hanno erroneamente creato l’immagine di un “sexual offender”. Per il 10 giugno è stata fissata la seconda parte dell’arringa della difesa; il 17 giugno si darà spazio invece alle eventuali repliche delle parti e, probabilmente, la sentenza di primo grado verrà emessa il 1 luglio, dopo le dichiarazioni spontanee concesse all’imputato.
di Livia Ciatti