Si è tuffato nel Tevere per recuperare la droga, è stato il primo agente sottocopertura della Narcotici a Roma, cammina con due pallottole in corpo. Fellini voleva fare un film su di lui. L’hanno chiamato in molti modi. Ora che è in pensione, il commissario Nicola Longo ci racconta la sua incredibile vita e la sua incredibile carriera, spesa ogni giorno a fare una sola cosa: combattere il crimine.
Naturalmente avevo sentito parlare di Nicola Longo. Così, ho deciso di raccontarvi la sua storia (sulla quale ha scritto un libro, “Poliziotto”). Mi sono ritrovato in una sorta di casa di fata, ricoperta di rampicanti, che si difendeva in mezzo a palazzi altissimi. Dentro c’erano una montagna di carte, una mezza tonnellata di ricordi, un pastore tedesco e lui, Nicola, che è sempre gagliardo. Questa è la sua storia.
“Io non volevo entrare in polizia, perché mio padre era un maresciallo dei Carabinieri. Strano destino… Odiavo il suo lavoro perché lui litigava sempre con mia madre. Saltava spesso il pranzo e la notte lei preparava la cena e lui non rientrava per dare la caccia ai latitanti. Poi fu trasferito e nella nuova scuola dove andavo c’erano i figli di pregiudicati che lui aveva fatto arrestare. Mi odiavano. Un giorno, all’uscita, m’hanno gonfiato di botte, mi chiamavano “figlio di carne venduta”, mi sputarono in faccia. Mio padre mi chiese chi era stato, io dissi che ero caduto dalle scale. Poi uno a uno l’ho beccati: mancava Pedone, il ripetente ch’era anche il più grosso. Appena raggiunto si voltò per colpirmi, ma io fui più veloce e lo centrai con un cazzotto al volto, lui cadde in ginocchio per terra privo di sensi e io, incredulo, guardavo il mio pugno chiuso con le dita ancora strette. Avevo 12-13 anni e ho scoperto questa cosa, che avevo un pugno forte. Ti racconto questa cosa perché la mia forza fisica è stata determinante per quello che ho fatto dopo. Così, feci un torneo nella Villa Comunale, io sfidavo tutti e vincevo sempre: e arrivò Ciccio Marafioti, un venditore di scarpe ambulante, che mi disse “guarda che possiamo fare soldi. Io ti organizzo gli incontri, facciamo le scommesse”. Avevo paura che mio padre lo scoprisse, ma cominciammo. Si combatteva a mani nude, nei garage, in campagna e sulle spiagge di notte. Ciccio un giorno mi portò un marine, uno di colore che diceva di essere stato gold glove in America. Alla fine vinsi io e guadagnai una bicicletta da corsa Legnano, con la quale andai a Reggio Calabria, alla palestra Fortitudo. Settanta km. Entro, e dico “ehi, io sono un pugile”. “Quanti anni c’hai?”. “Devo farne diciotto”, ma era una cazzata, ne avevo sedici. “Mettiti i guanti”. Proviamo e dopo un po’ mi ferma: “tu non hai mai fatto boxe, hai fatto solo a cazzotti per strada!”. Era vero: e cominciai ad allenarmi da loro. Vinsi tanti campionati ed entrai nelle Fiamme Oro della Polizia. Poi mi ruppi i metacarpi e passai alla lotta libera. Qui ebbi un incidente, mi ruppi i menischi e mi vidi assegnato alla Squadra Mobile di Roma.
La Narcotici era appena nata, ed io ero l’unico agente sotto copertura. Mi dissero di farmi crescere i capelli, mi dettero una Harley Davidson dicendomi: vai a metterti a Piazza di Spagna a fare l’hippy. Siamo ai primi anni Settanta, eh? Diventai “Massimo D’Assisi”. Dovevo cercare chi vendeva la droga lì, nell’ambiente. Capii che dovevo vestirmi come loro. Li osservai: avevano tutti le scarpe sporche. Mi avrebbero sgamato già solo perché le avevo pulite. Così, rovinai i miei jeans e feci il bullo coi colleghi poliziotti, quando arrivavano. Stavo là, dipingevo quadretti e disegni e guadagnavo pure. Era anche pieno di belle ragazze. Che bella vita che faccio, pensavo! Con una di queste, un’argentina, ebbi un flirt. Ma venni a sapere che consumava droga. Consumava o spacciava anche? Volevo saperlo. Purtroppo spacciava anche. Ma lei mi piaceva, non sapevo che fare. Chiesi ai superiori: “devi arrestarla tu”, dissero, “perché non puoi avere remore, non puoi sfuggire alla realtà”. Così lo feci e lei mi fissò stupita. I suoi occhi erano pieni di odio. “Ma che lavoro faccio?” mi dicevo. “Faccio amicizia con la gente per arrestarla?”. Ero quasi per dimettermi, ma capii che non potevo fermarmi lì, dovevo arrivare ai grossi venditori di morte, ai trafficanti che si arricchivano speculando sulla vita degli altri.
Un giorno ero sull’Harley e sento alla radio di un tentato sequestro a via della Vite: volevano prendersi Romiti, l’amministratore delegato della Fiat! Schizzo lì, li vedo e li seguo con cautela, ma si accorgono di me e correndo si separano. Ne inseguo uno che entra in un palazzo di Piazza Augusto Imperatore e mentre mi avvicino inizia a spararmi. Io rispondo. Era il primo scontro a fuoco, era emozionante. A un certo punto il tizio raggiunge il terrazzo e salta da un palazzo all’altro e io mi dico, beh adesso salto anch’io e lo presi, fu il mio primo arresto importante. Ma ero sotto copertura, quindi il mio nome giustamente non poteva uscire.
A Piazza di Spagna intanto c’era un tedesco, biondo, occhi di ghiaccio, profilo tagliato con l’accetta. Mi dice: mi aiuti a vendere un po’ di roba? Però voleva tagliarla col magnesio. Non gli fregava nulla di ammazzare la gente. Prendeva Lsd tutti i giorni, era fulminato di cervello. E andava in giro con la pistola, che non era tanto normale all’epoca. Poi era anche un rapinatore e fece una rapina verso via Nazionale, praticamente davanti la Questura. Un morto e un ferito grave. Tutta la Mobile lo cercava. Io sapevo che lui andava a dormire in una specie di buca nascosta sotto terra, a Villa Borghese. Una puzza tremenda. Circondiamo la zona, è notte. Vado avanti da solo, per non destare sospetti. Mi vede, chiede che voglio. Sospetta. A un certo punto mi tira un coltello da caccia e faccio appena in tempo a spostarmi: voleva centrarmi al petto. Mi prende al braccio. Ormai disarmato, gli tiro una pizza e lo addormento. E lui che fa, in Questura? Dichiara sette omicidi, commessi in Germania, tutte donne anziane. Si ricordava di una maestra che lo puniva sempre da bambino e così le uccideva. Era un serial killer! E io ebbi la prima promozione, per meriti speciali. Divenni Maresciallo”. (fine puntata 1)
di Fabio Sanvitale