Se di Alì Agca (che oggi è andato a mettere dei fiori sulla tomba di Papa Woityla) non si sa più cosa pensare, sulla vicenda di Emanuela Orlandi tanti miti e false piste possono essere scartati a ragion veduta. E’ quello che dimostra l’ultimo libro di Pino Nicotri, “Triplo inganno” (Kaos editore, 240 pagine), terzo (e ultimo, come dice lui stesso) libro che il giornalista dedica alla vicenda.
Nicotri questa storia l’ha davvero sviscerata da tutti i lati, lavorando sugli atti ufficiali delle inchieste. Gli irriducibili dietrologi da complotti mondiali ci resteranno male leggendo come spiega uno dei più intricati misteri italiani, che iniziò in un giorno d’estate in cui minacciava pioggia. Era il 22 giugno 1983. Scontata la prima domanda: perché questo titolo? Nicotri: “Il triplo inganno è quello del Vaticano, degli apparati e dei mass media, quello che è stato intessuto sul caso ed è durato finora. E’ quello che ha portato a pensare al sequestro internazionale, un sequestro politico che era il secondo tempo dell’attentato al Papa. Tutto nasce dall’appello di Wojtyla, cui faceva comodo l’ipotesi che la Orlandi fosse stata rapita per via della sua politica anticomunista. E poi su questo ci si sono buttati a pesce i Servizi italiani, che hanno convalidato la pista. Infine la magistratura, che si è dovuta adeguare, tanto è vero che il primo giudice che indagava (Margherita Gerunda) e sosteneva la pista dell’abuso sessuale finito male, è stata poi sostituita da altri colleghi più versati a pensare al terrorismo internazionale. Terzo inganno, quello della stampa, che su questo ha scritto tutto e il contrario di tutto, spesso senza verificare“.
E perché ha funzionato, il triplo inganno? “Perché c’è bisogno di miti, di sognare” risponde Nicotri. E allora, come potrebbe essere andata? “Emanuela è evidentemente salita sull’auto di qualcuno conosciuto dalla famiglia e da lei, che le ha offerto un passaggio; e poi le cose sono andate come sono andate. D’altronde, un anno dopo un uomo, Mario Squillaro, dette un passaggio a scuola a sua nipote, Stefania Bini, e invece la portò a casa sua, a Porta Maggiore; forse ne abusò, comunque la uccise e la seppellì dentro casa sua. Lì il colpevole è crollato subito, qui invece il colpevole ha fatto sparire tutto per bene“. Ed ha beneficiato degli inganni successivi.
Nicotri lo dice e lo ripete: mai i sequestratori hanno fornito prove vere, che non fossero fotocopie o prove inventate, o risposte facilmente intuibili. Troppa gente, in questa storia, ha raccontato balle: da chi che s’è spacciato per agente segreto (Luigi Gastrini), a chi ha visto Emanuela al nord Italia, chi ricordava cose sballate (Sabrina Minardi), chi non ha mai detto quello che gli viene attribuito (come il vigile Sambuco, che quel pomeriggio avrebbe visto Emanuela, ma non ha mai messo a verbale che l’uomo con lei fosse della Avon, furono gli Orlandi a dirlo…). Sono questi e tanti altri i dettagli che Pino Nicotri rimette a posto, facendo giustizia della pista del rapimento internazionale come scambio con Alì Agca; e lavorando piuttosto secondo il principio del “Rasoio di Occam”, il frate francescano del ‘300 che sosteneva come, lavorando su più ipotesi, si debba sempre preferire quella più semplice.
“Credo però che la verità non interessi più a nessuno, tutti preferiscono sognare, su questa storia” conclude Nicotri. Forse è vero, forse no. Ma noi, che sappiamo quanto il tempo riporti sempre a galla pezzi di verità, non possiamo che consigliarvi questo libro, così fuori dal coro e che nasce da un’inchiesta che il suo autore porta avanti da tanti, tanti anni. E che resta – scartate tutte le ipotesi più fantasiose – sull’unica possibile. L’unica che, purtroppo, non fu mai davvero seguita.
di Fabio Sanvitale