Dottoressa Cordella, lei è grafologa, ha esaminato l’anonima delle “Belle more” (ne abbiamo parlato qui) e sostiene che probabilmente è stata scritta da una persona precisa, Marco Accetti. Vediamone le caratteristiche principali. Quella lettera dice molto. Innanzitutto, l’uso del runico. Può essere simbolico? “Storicamente è un alfabeto che richiama periodi storici ben precisi. Basti pensare ai volantini di rivendicazione di Ludwig, la coppia di serial killer neonazisti che operò proprio alla fine degli anni ‘70 e utilizzava massicciamente il carattere. Una scelta che fa tornare improvvisamente indietro di 30 anni. Dal punto di vista grafologico il runico è un carattere di natura estremamente angolosa. Quando una persona sceglie di “mascherarsi”, come avviene in una anonima, fa una scelta anche di carattere, utilizzando lo stile che ritiene più idoneo alla sua personalità. L’angolo, grafologicamente, rappresenta la resistenza ma anche la volontà di essere incisivi, di lasciare in qualche modo un segno del proprio passaggio. Un messaggio, quindi, che in nessun modo vuole passare inosservato”.
Lei ha dedotto una cosa particolare: che la lettera è stata scritta usando la carta carbone. Da cosa? Quanto è insolito? “Osservando l’immagine a colori della lettera c’è un elemento che non può non balzare all’occhio del grafologo: la pressione non segue uno sviluppo “fisiologico”. Questo significa che i chiaroscuri che si creano di solito, aumentando e diminuendo la pressione sul foglio (che ovviamente viene erogata in maniera variabile) non sono coerenti. Ci sono lettere troppo “chiare”, fino ad essere quasi invisibili, e lettere troppo “scure” e troppo marcate. Questo non avviene normalmente nelle grafie scritte con la penna. La carta carbone è uno strumento che si frappone tra penna e foglio e che rende più difficile intuire quanto uno, scrivendo, preme sul foglio stesso. Ed ecco questi chiaroscuri troppo accentuati. E’ insolito, ma non inedito. Ci sono anonime di rivendicazione e scritte in contesti legati all’ambiente di mafia che la utilizzano”.
Sì, ma a che serve usare la carta carbone? “Può avere più motivazioni: di ordine tecnico o, ancora, di valenza simbolica. Evita il contatto diretto della mano con il foglio. E quindi può essere utilizzata per impedire il rilievo delle impronte digitali. E poi, seguendo un filo simbolico, che percorre un po’ tutta la realizzazione della lettera, non possiamo non ricordare che la carta carbone, essendo utilizzata in genere assieme alla macchina da scrivere, ci fa nuovamente balzare indietro di moltissimi anni. È un mezzo desueto che assieme, per esempio, al negativo, riporta ai tempi della scomparsa di Emanuela Orlandi. Potrebbe, in questa logica, anche essere stata scelta proprio con il preciso intento di creare una “sceneggiatura” che riconducesse al passato…”. Un richiamo al passato che ci sta tutto con la personalità di Accetti.
Le “Belle more” hanno anche un’altra caratteristica, però: contengono delle correzioni. Guardate la parola “due”, che sotto probabilmente nasconde “dee”; e anche la “a” finale della parola “baroness-a”, che è troppo distanziata rispetto al corpo della lettera. Sotto c’era un’altra parola. Non è insolito in un’anonima? Che senso può esserci? “Raramente una lettera anonima nasce in modo estemporaneo. Chi la scrive spesso la pensa e ripensa più volte, valutando soprattutto l’effetto che farà nel destinatario. Questa è di certo una lettera costruita con calma ed attenzione. Perché allora un anonimo così scrupoloso, a fronte di un banale errore di trascrizione, semplicemente non ha riscritto la lettera, senza apportare una variazione così vistosa? Penso che, forse, la correzione non sia semplicemente un modo di “rattoppare” un errore, ma di veicolare un messaggio, criptandolo in qualche modo. Un messaggio che può arrivare dritto a qualcuno in particolare”.
Dottoressa, lei ha visto anche saggi grafici appartenenti con sicurezza ad Accetti. Quali sono le sue principali caratteristiche di personalità? “Tre elementi: il primo è la rigida e netta tenuta del margine sinistro.
Indicare un rapporto ambivalente con il passato e con la figura materna: un evidente distacco che cerca però di superare una forte dipendenza. Ancora, la grafia fortemente staccata ci parla di ottima memoria e capacità di analisi e rievocazione, alle quali, però, l’artificiosità delle singole lettere, aggiunge tendenza all’ ambiguità verbale. Infine, non può sfuggire la firma. “Autobiografia in sintesi”; così la definiva Max Pulver. E questo in effetti è: un’interazione tra il proprio “io” presente e intimo (rappresentato dal nome), di come ci si percepisce, e il proprio “io” passato e sociale (il cognome), quello della nostra storia familiare, di come vorremmo ci percepisse l’altro. La firma di Accetti è amplificazione massima della propria grafia. Un riccio iniziale ampio, quasi a proteggere sé stesso e soprattutto quel lungo e netto tratto orizzontale che mette una sorta di simbolico tetto sul presente e sul passato, non facendo penetrare nessuno all’interno, tutelandolo da qualsiasi “invasione” e rendendo imperscrutabile ai più la sua persona.
L’artificiosità stessa di ogni singola lettera indica tendenza ad indossare una maschera, a presentarsi diversamente da come si è nella realtà. Indica la capacità di “confezionare” gli eventi con abilità di linguaggio. Sa mostrare finezza nei sentimenti e nei modi e, di contro, distacco sociale. La sua ricerca di distinzione e singolarità lo porta ad essere affettato nelle movenze, con un incesso distinto anche nell’atto di sedersi”.