di Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it
10 giugno 2013
Brutta storia, quella successa a Bilbao domenica 2 giugno. Qualcuno vede una ragazza fatta entrare a forza dentro la palestra “Zen 4”, tirata per i capelli. Poi, sente delle grida. L’arrivo della polizia. Suonano: niente. La porta viene sfondata. Trovano Maureen Ada Ortuya, 29 anni, una prostituta nigeriana, legata mani e piedi con il nastro adesivo, ormai in coma. A ridurla così – e solo con le mani, a quanto sembra – è stato Huang C. Aguilar, il proprietario di “Zen 4”, che si fa arrestare senza problemi. Aguilar è molto conosciuto negli ambienti sportivi spagnoli: campione di kung-fu, monaco shaolin, molto presente in tv, autore di libri. La sua è più di una palestra, è un tempio buddista. La polizia trova frammenti di vertebre, mani e pezzi di estremità, ammucchiati in buste di plastica sepolti nella palestra e a casa sua. L’uomo confessa, allora, di aver ucciso un’altra donna nei giorni precedenti. Grazie alle impronte digitali, si scopre chi è. Una prostituta colombiana di 40 anni, Jenny Sofía Rebollo. La Ortuya muore dopo pochi giorni. Gli omicidi diventano due.
Chi sono i tre protagonisti di questa vicenda? Juan Carlos Aguilar, 47 anni, meglio noto come “Huang C. Aguilar”, più volte campione mondiale di Kung Fu, nel 1997 era diventato il primo istruttore occidentale di Shaolin, dopo averlo studiato in Cina. Uno che era andato in tv a camminare sui carboni ardenti, a rompere bottiglie con le dita, a sfidare la forza di gravità come un acrobata, pieno di allievi nella sua bellissima palestra.
Maureen Ada Ortuya era arrivata a Bilbao appena un anno fa. Andava in chiesa tutte le domeniche, lavorava anche fino alle 6 del mattino, salutava sempre tutti, era molto socievole.
Jennifer Rebollo Tuirán Sofia, era arrivata in Spagna 14 anni fa, in cerca di un futuro migliore, dopo la morte del suo primo figlio, di appena quattro anni. Quel giorno aveva cambiato completamente la sua vita. Aveva seguito Medicina all’Università ed era parrucchiera, ma aveva lasciato tutto in Colombia – compreso il suo secondo figlio – per ricominciare in Spagna. Ultimamente la situazione s’era fatta difficile per lei e forse per questo aveva sceso i gradini che portano verso la prostituzione.
Ma cos’è successo dentro Aguilar, cos’ha fatto esplodere in lui tutta questa furia, in così pochi giorni?
Forse la sua storia ci può aiutare a capire meglio. L’infanzia è forgiata dal fratello-allenatore, che lo tempra attraverso un addestramento e disciplina durissime. A 17 anni Juan Carlos è già maestro di kung fu. Ecco, forse qui c’è una delle possibili chiavi di lettura: forgiato così presto, per lui la sua attività era tutto, al punto da non potersi immaginare in nessun altro contesto. Lo descrivono come una persona capace di trasmettere energia e conoscenza, che sprizzava carisma. Ma Aguilar parlava solo della sua passione, del suo lavoro, della sua filosofia di vita. L’ex moglie lo descrive come «una brava persona, ma con cui era difficilissimo vivere per la sua completa dedizione alla spiritualità, alla meditazione e al cammino verso l’illuminazione».
Ne parliamo con la psicologa Chiara Camerani. Che ne pensi?
“Non seguendo personalmente il caso, posso solo azzardare un parallelismo con la vita di molti atleti che iniziano la carriera agonistica in giovane età. E’ un percorso precocemente improntato alla disciplina ed al sacrificio, in cui lo spazio per le attività più tipicamente infantili è ridotto e, in alcuni casi, la stessa identità del bambino, e poi dell’adulto, si costruisce attorno al ruolo di sportivo. Questo potrebbe lasciare in ombra lo sviluppo di una piena capacità relazionale, sia in ambito sociale che nei rapporti con l’altro sesso. Anche se lo sport si trasforma in lavoro, diventando fonte di conferme, consensi, ammirazione e se ne trae un senso di autoefficacia e potere, questo talvolta può nascondere un risvolto amaro: ci si relaziona con gli altri solo attraverso questo canale, al di fuori del quale stanno profonde insicurezze. Sembra che la personalità di Aguilar si sia strutturata unicamente attorno all’identità di maestro e atleta, al di fuori della quale sembrerebbe non sentirsi a proprio agio”.
Ma quei durissimi allenamenti possono aver influito?
“Allenamento e disciplina: non mi sembra sia tortura. Credo che se intervistassimo giovani ginnasti dediti all’agonismo troveremmo storie simili, non abbiamo sufficienti elementi per pensare addirittura a traumi o violenze infantili. E poi i sacrifici sono stati ripagati con successi personali, autorealizzazione e riconoscimenti…”.
La polizia basca conferma che Aguilar è in cura per un tumore al cervello. Può aver influito sulla capacità di intendere e di volere?
“Non è lavoro mio, però è un trauma che può essere diventato un fortissimo elemento di stress, qualcosa che ha fatto franare tutti i sistemi di contenimento: la spiritualità, i traguardi agonistici, l’arte marziale e la disciplina. Forse, oltre al rischio della vita, percepiva il rischio altrettanto grave di perdere sé stesso, la sua identità, la sua forza, il controllo e forse questo ha favorito il prorompere di una rabbia che fino ad allora era stata tenuta a freno…”
La Camerani aggiunge qualcosa: sulla rabbia.
“Sembrano due delitti impregnati di rabbia. Le arti marziali sono modi di auto-terapia e contenimento, richiedono disciplina, controllo dell’aggressività…Aguilar dà l’idea di uno che ha lottato molto per controllare i suoi impulsi, prima di cedervi”.
E il breve intervallo tra i due delitti cosa ci dice?
“In letteratura generalmente c’è un periodo di raffreddamento variabile, che tende a essere più lungo dopo il primo omicidio, in cui l’assassino “smaltisce” l’impatto emotivo dell’evento e teme la cattura. Col tempo e il progredire degli omicidi i tempi di raffreddamento si accorciano, l’aggressione ha regalato piacere sessuale, soddisfazione e quindi la persona vuole ritrovare quella sensazione di benessere. L’esperienza ci insegna, però, che tempi molto ravvicinati tra gli omicidi rappresentano il culmine dell’escalation e questo fa pensare alla possibilità che ci siano state altre vittime, prima…”.
E’ andata così?
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