Carceri nuove? Non servono. Viaggio al presente tra gli istituti di pena italiani. Prima parte

corte europeadi Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it

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28 maggio 2013

La notizia non è da poco. La Corte europea dei diritti dell’uomo, ieri, ha definitivamente accolto il ricorso presentato da 7 detenuti italiani di Busto Arsizio e Piacenza contro il sovraffollamento carcerario. L’Italia è stata condannata per trattamento inumano e degradante: adesso ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento e creare una procedura per risarcire i detenuti che ne sono vittime. Il rischio è enorme: ora che si è creata una breccia nella diga, moltissimi altri detenuti presenteranno richieste di risarcimento alla corte di Strasburgo, con tutte le conseguenze che potete immaginare. E quindi, si torna a parlare della situazione carceraria. Ma noi vogliamo andare in controtendenza: perché fare carceri nuove? Pensiamo a quelle che esistono già, razionalizziamo il sistema carcerario, evitiamo gli sprechi, investiamo sulle depenalizzazioni e le cose potranno andare molto meglio. Sorpresi? Ci spieghiamo meglio.

Forse qualcuno di voi ricorderà che per risolvere il problema c’erano  – e ci sono – un Piano Carceri ed un Commissario Straordinario. Varato a marzo 2010 dal Governo Berlusconi, il Piano prevedeva circa 700 milioni di euro per 10 nuovi istituti, 20 nuovi padiglioni e 8.900 posti in più. Sapete quanti ne sono stati realizzati? Nessuno. Neanche un carcere, malgrado il grandissimo impegno del nuovo Commissario, che ha sbloccato tutte le procedure e avviato quasi tutte le gare. Nel gennaio 2012 Il Piano è stato ridisegnato, ridotto a 4 carceri nuove (Torino, Pordenone, Catania – l’unico che attualmente è allo stato di gara – e Camerino), 16 nuovi padiglioni; con il completamento di Cagliari e Sassari, la rifunzionalizzazione di Arghillà ed il completamento di 17 padiglioni e le ristrutturazioni in 9 istituti.

Il tutto per un totale di 11.573 posti detentivi: un vero miracolo, perché con meno risorse sarebbero oltre 2.000 posti in più della prima stesura. Ma c’è un ma. Controlli meglio e ti accorgi che 4.500 di quegli 11.000 e rotti derivano in realtà da progetti decisi e finanziati da ben prima del Piano. Ti accorgi che i 20 nuovi padiglioni  in realtà sono 19, perché il 20° era nel carcere di Piacenza, i cui lavori però erano anch’essi stati appaltati da prima del Piano: un modo per permettere al ministro Alfano di poggiare la prima pietra. Quella del Piano, insomma, non è solo una storia maldestra, ma anche un progetto tanto ambizioso quanto basato sulla elementare politica carceraria del “mostrare i muscoli”.

Maldestro, per la scelta di gestirlo tramite un Commissario Straordinario, secondo l’italianissima logica dell’emergenza, dichiarata il 13 gennaio 2010. Certo, un sistema che ha 47.000 posti-detenuto e ce ne inzeppa 66.000 era ed è oggettivamente in emergenza. Ma occorreva davvero un Commissario Straordinario per risolvere la faccenda? E cosa significava mettercene uno? Beh, voleva dire ad esempio che ogni progetto non sarebbe stato realizzato solo dagli architetti, dagli ingegneri, dai contabili del Dap, ma anche tramite strutture esterne…  con costi inevitabilmente maggiorati. C’era forse una specie di sfiducia dello Stato nello Stato, in questo? C’era la scelta politica di ri-evitare un altro scandalo alla “carceri d’oro”, come quello degli anni Ottanta? In filigrana l’impressione è questa: ma guardiamo il risultato. Il Commissario dovrebbe evitare sprechi e ruberie, giusto? Bene. Ma la verità è che non solo i progetti dei lavori – consegnati da febbraio 2011 – sono appena partiti ma anche che, nel frattempo, sono stati impiegati anche dei consulenti esterni, per una spesa di euro 1.359.000. E questo è uno spreco o no?  E perché negli appalti la progettazione esecutiva è assegnata alle stesse imprese costruttrici (alla modica cifra di 180-200.000 euro a progetto, più Iva s’intende), quando c’è la struttura del Dap che potrebbe farla quasi a zero euro?

Ma questo Piano è anche ambizioso perché, partito in pompa magna per poi essere tagliuzzato dalla crisi, ha perso per strada non solo pezzi di progetto, ma anche soldi: oggi dispone di meno di 500 milioni di euro: ne ha persi 228 nel 2011, proprio perché non sono stati impegnati. Tra l’altro, i soldi del Piano sono stati presi anche sforbiciando la dotazione annuale del Dap, col risultato di creare da una parte un progetto mai partito, dall’altra di togliere fondi alla gestione ordinaria delle ristrutturazioni e degli adeguamenti, di fatto paralizzata.

Il rischio, insomma, è che il Piano faccia la stessa fine delle carceri mandamentali (istituti molto piccoli, localizzati in provincia, da Casalbordino a Pescia, da Genzano di Lucania a Pisticci): ce ne sono tante chiuse, altre ristrutturate e inutilizzate, altre ancora i cui lavori sono in corso. Possibile? La realtà è che le Case Mandamentali sono una cinquantina, ma il Dap non le gestisce più da anni, perché sono strutture antieconomiche, con 30 detenuti e 40  agenti. Così, oggi sono state tutte restituite ai Comuni. Solo alcune, le più capienti, sono ristrutturate e in uso.

Una situazione, anche questa, di spreco, nata dal fatto che nessuno s’era posto finora il problema di fare carceri dove servivano realmente…Nessuno aveva fatto uno studio sulla localizzazione carceraria, col risultato che attualmente è programmata la costruzione di nuove carceri a Pordenone, a Camerino, dove non servono a niente. Costringendo da una parte le famiglie dei detenuti ad attraversare l’Italia per fare i colloqui e dall’altra creando istituti lontani dall’amministrazione della giustizia, con costi di traduzione dei detenuti ovviamente notevoli. D’altronde, le statistiche parlano chiaro: la maggior parte degli ingressi dalla libertà avviene in Lombardia, Campania, Lazio, Sicilia e Puglia. E’ dunque in queste regioni (e non altrove) che servirebbero nuovi istituti di pena…

Poi ci sono casi assurdi come Reggio Calabria Arghillà, dove un carcere ci vorrebbe come il pane: bene, viene fatto, ha 300 posti, ma rimane chiuso 20 anni perché nessuno ha pensato a portarci l’acqua, fare la strada e la caserma agenti. Nel frattempo gli interni marciscono e vengono vandalizzati. Oggi sono stati rifatti dal nuovo Commissario, ma manca sempre il resto. Quando aprirà?

Le nostre carceri sono dislocate male, sì, ma sono anche troppe: sono 206, di cui 120 con meno di 200 posti e 63 con meno di 100. Questo comporta molte sezioni femminili chiuse e sezioni per semiliberi quasi sempre vuote, o tutt’al più occupate da una o due persone. Sprechi di spazio. E le costruiamo (o ristrutturiamo) seguendo criteri di una volta, scontando cioè il periodo del terrorismo, che ha comportato la costruzione di carceri molto sicure: doppi cancelli, muri di cinta altissimi, blindature diffuse, acciaio di alta qualità, proliferazione di celle singole, corridoi lunghissimi e larghi…con i relativi costi. Oggi, questi criteri, servono ancora?

Bene, abbiamo detto che il Piano Carceri è fatto con i piedi. Qual è dunque la soluzione?  Un primo dato ce lo offre una elementare constatazione: ha senso, in epoca di tagli, mettersi a  costruire carceri per le quali non ci sarà personale nuovo a gestirle? Eccoci al punto. Molto meglio ristrutturare l’esistente, allora: costa assai meno. E non solo.  Oggi come oggi, secondo una stima del Dap, con  200 milioni di ristrutturazioni  fatte bene aggiungeremmo 20.000 posti maschili ed elimineremmo definitivamente il problema del sovraffollamento. Ad esempio, a Torino, ristrutturando, faremmo 400 posti e risaneremmo quelli attuali, senza dover costruire un carcere nuovo.

Attualmente, in Italia abbiamo 47.000 posti sulla carta ma, se guardate bene, a causa dei tanti padiglioni inagibili, sono 40 – 41 mila reali. Se lavoriamo sull’esistente possiamo fare molto, spendendo meno: il problema non è la capienza. Negli ultimi 6-7 anni il Dap ha comunque finito 17 padiglioni nuovi, per un totale di 3500 posti (a Modena, Terni, Voghera, SM Capua Vetere, Catanzaro, Biella.) Se riformiamo il sistema penale e ristrutturiamo, la capienza c’è.  Eccome, se c’è. (CONTINUA…)

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