di Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it
27 marzo 2013
Nell’aula numero 219 della Corte d’Assise d’Appello di Salerno, il prossimo 9 aprile testimonierà (forse) Danilo Restivo. E’ il processo d’Appello, perché in primo grado si è già preso 30 anni per l’omicidio di Elisa Claps. Finora Restivo è stato impassibile, in aula non ha mai guardato in faccia i familiari della sua vittima. Ha tenuto lo sguardo basso, immerso in chissà quali pensieri: non ha detto nulla. Invece, di domande ne vorrei fare alcune io a lui. La storia la sappiamo bene, ormai. Quel giorno di settembre del 1993, la sedicenne Elisa aveva appuntamento con Danilo alle 11.30. E, dopo, con la sua amica Eliana alle 12.15. Il delitto è avvenuto in quei tre quarti d’ora: Elisa è morta letteralmente sopra la gente che stava a messa, in corrispondenza dell’angolo anteriore della navata destra. Sotto si invocava Dio; e lei moriva. Le coltellate furono tredici. Le fu tagliata una ciocca di capelli, una ventina di minuti dopo la morte.
Danilo Restivo cominciò a tagliare i capelli delle compagne di classe (e a conservarli) già alle elementari. A spiarle quando andavano in bagno. C’era qualcosa che non andava, era chiaro, chiarissimo. Ma cos’era meglio, farlo curare, riconoscerlo come persona malata o nascondere la polvere sotto il tappeto? Papà e mamma scelsero di nascondere, per evitare una vergogna che a Potenza sarebbe equivalsa a un marchio. Intanto, Danilo cominciava a molestare telefonicamente le ragazze. Dopo la morte di Elisa, per evitargli quella che dev’essergli sembrata un’altra marachella, i genitori –che probabilmente seppero subito del delitto, durante il pranzo di quella domenica, quando il figliolo si appartò dagli ospiti per parlare con papà Maurizio – lo spedirono in Inghilterra. Nuovo, fatale errore: lì ucciderà Heather Barnett, il 12 novembre 2002. Non sappiamo cosa pensino i signori Restivo di tutto questo (ah sì, lo sappiamo: “Danilo è buono, normale, appassionato di auto d’epoca. Un puro”), ma queste sono le domande che vorrei fare io, al processo, al loro caro, buono, puro figlioletto Danilo:
1. Il sottotetto: per arrivarci con Elisa l’hai fatta salire fino al terzo piano, quindi su per una scala di ferro verticale, quindi da lì sul muro che costeggia il campanile e infine siete scesi nel sottotetto. Elisa quel giorno voleva solo vederti cinque minuti e togliersi dai piedi la tua petulanza. Ce l’hai portata da sola, minacciandola col coltello o c’era qualcun altro con voi, per tranquillizzare Elisa?
2. L’hai nascosta tu da solo, con quei materiali edilizi che per tanti anni l’hanno celata a chi entrava nel sottotetto? T’ha aiutato qualcuno? E quel buco nel soffitto, per far svaporare la puzza della decomposizione, l’hai fatto sempre tu da solo?
3. Quanto eri amico del parroco della Trinità, don Mimì? Che te ne facevi delle chiavi di alcuni ambienti della chiesa, che lui ti aveva dato?
4. Chi ti aiutato a farla franca per anni, Danilo?
Forse sapremmo già la risposta, se le indagini all’epoca fossero state svolte diversamente dalla magistratura. Ma nessuno cercò con convinzione Elisa, quel giorno. Nessun cane poliziotto fu sguinzagliato a seguirne le tracce, sennò l’avrebbero trovata in due ore. Nessuno fece sequestrare gli abiti che indossava Restivo. Nessuno sospettò di Danilo, un ragazzo che tutti sapevano –tranne i genitori- essere problematico. Un nessuno che ha il nome dell’allora Pm Felicia Genovese. La situazione fu sottovalutata: Danilo lo interrogarono solo la sera dopo, lasciandolo tranquillamente partire per Napoli, dove doveva sostenere un esame. Eppure era il teste più importante, era l’ultimo ad averla vista viva. E il primo ad averla vista morta. Ma il Questore Mastrocinque disse che Elisa si era allontanata da sola: una fuga, insomma. Da cosa non si sa, ma una fuga. Così, resto con le mie domande, con questo silenzio assordante che dal 1993 vorrebbe invece essere fatto di risposte. Ma non me ne aspetto certo da Danilo Restivo, uno che dice di essere innocente.
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