Perché è morto Luca Ventre? Cos’è successo la mattina del 1 gennaio 2021 all’Ambasciata italiana a Montevideo, in Uruguay? Siamo di fronte a un nuovo caso George Floyd? Sono queste le domande che oggi, a quasi un mese dai fatti, sempre più persone iniziano a farsi. Perché di fronte alla storia di questo 35enne di Senise, in provincia di Potenza, non si può restare indifferenti, non si può non pretendere chiarezza e giustizia.
Luca viveva in Uruguay col padre dal 2012, si occupava di import/export di prodotti con l’Italia ed era da poco diventato padre di una bambina. Tuttavia, negli ultimi tempi, qualcosa sembrava turbarlo. Il rapporto con la sua compagna non andava più bene e, inoltre, aveva detto ai suoi familiari in Italia – la mamma e il fratello Fabrizio – che si sentiva minacciato, oppresso, che c’era qualcuno che voleva fargli del male. Forse erano preoccupazioni fondate, forse stava attraversando un momento di disagio personale che gli faceva travisare certe circostanze, sta di fatto che la mattina di capodanno, intorno alle 7, Luca si reca alla sede dell’Ambasciata italiana, verosimilmente in cerca di aiuto. Un’ora più tardi è già morto.
LA RICOSTRUZIONE ATTRAVERSO LE IMMAGINI
Tutto ciò che accade d’ora in avanti viene ripreso dalle telecamere di sorveglianza. L’italiano Indossa jeans e una t-shirt e, in mano, ha solo una borsa marrone dalla quale spuntano alcuni fogli.
L’Ambasciata, in quel giorno di festa, ha i cancelli chiusi.
Luca Ventre però non desiste, probabilmente la sua paura e il desiderio di tornare in Italia gli fanno perdere la lucidità, così decide di scavalcare. A questo punto, per un paio di minuti non sappiamo quello che accade, perché non sono stati forniti i filmati. Forse il giovane, una volta all’interno, si ritrova in un cortile deserto e realizza che davvero, quel giorno, nessuno gli darà ascolto. O, forse, si accorge della presenza della sorveglianza. Sta di fatto che decide in fretta di uscire, ma l’unico modo che ha per farlo è, ancora una volta scavalcare.
Ecco che ricominciano i filmati. Luca si appende al cancello per oltrepassarlo ma viene fermato da due persone, una guardia privata e un’agente di polizia locale. Sono le 7.06. Luca e le due guardie si scambiano qualche parola, dopodiché Luca si inginocchia a terra in segno di resa, ma viene gettato a terra dal poliziotto, che subito lo immobilizza mettendogli un braccio intorno al collo con una mossa chiamata “chiave di Judo”. Luca resterà così, immobilizzato, per molto tempo. Inizialmente cerca di liberarsi da quella presa che gli ruba il respiro, ma dalle 7.18 non si vedono più suoi movimenti. Il giovane italiano rimane fermo, immobile, per undici minuti. Sempre con il collo stretto dal braccio del poliziotto, che lascerà la presa solo alle 7.30, per andare in guardiola a prendere il telefono e la radio, che consegna all’altra guardia. Vengono fatte una serie di telefonate, non ci è dato sapere a chi.
Alle 7.40, per la prima volta, il cancello dell’ambasciata si apre ed entrano due agenti e un uomo in camicia e cravatta. Quello che ormai non sembra che il corpo di Luca Ventre viene ammanettato, sollevato e trascinato in una macchina, che lo condurrà all’ospedale che dista circa 4 chilometri da lì. Le versioni dei due agenti che sono in macchina sono discordanti, ma entrambi sostengono che Luca, in realtà, sia ancora vivo: rabbioso come un “uragano”, oppure in preda a convulsioni.
L’unica certezza è che, poco dopo il suo arrivo in ospedale, Luca Ventre verrà dichiarato morto: una dottoressa che lo prende in cura alle 8.06, infatti, dichiara che l’italiano in quel momento è già deceduto. Un’infermiera specifica che l’uomo era arrivato lì in preda alle convulsioni, per poi andare in arresto cardiaco.
L’autopsia per ora non ha chiarito le cause del decesso, dal momento che, si legge, le lesioni superficiali sul corpo non sono sufficienti a spiegare la causa della morte. Tuttavia, nel cervello si sarebbe evidenziato uno stato edematoso compatibile con la morte da asfissia.
La verità sulla morte di Luca Ventre, insomma, è ancora tutta da scrivere. Anche per questo, la famiglia ha chiesto che venga fatta un’autopsia anche in Italia.
Ciò che è evidente, per ora, è che il nostro connazionale, pur sbagliando nella scelta di scavalcare il cancello dell’Ambasciata italiana in Uruguay, non ha avuto un trattamento equo e sicuramente la sua morte ne è la diretta conseguenza. In nessuna delle immagini, infatti, si vede Luca reagire in modo violento o rappresentare una reale minaccia per la struttura in cui si trovava o per gli agenti che lo avevano fermato. Pur trovandosi da subito in minoranza, Luca viene immobilizzato con una mossa che, chi la pratica, deve per forza sapere cosa comporta. Eppure, anche quando Luca ormai è esanime, l’agente continua a stringergli il braccio intorno al collo, con una forza che sicuramente non è proporzionale alla minaccia subita.
Attualmente sono state aperte due inchieste per ricostruire quanto accaduto, una presso la Magistratura uruguaiana e una presso quella Italiana. È importante, però, che di questa storia si parli, che venga sensibilizzata l’opinione pubblica, perché più questa vicenda diventerà di dominio pubblico, più saremo in tanti a chiedere giustizia e più la speranza di trovare risposta alle tante domande che stiamo ponendo non sarà vana.
di Valentina Magrin