Si mormora che dovrebbero consegnare agli investigatori privati italiani il “tesserino” e si respira nel settore una certa euforia per tale atteso avvenimento. Immagino che dipenda da una serie di fattori. Innanzi tutto appare del tutto illogico che il detective nostrano debba poter dimostrare di esserlo solo attraverso l’esibizione della licenza/autorizzazione prefettizia, la cui copia – magari – veniva piegata in quattro e tenuta nel portafogli, e fin qui nulla da eccepire. Il dubbio – però – è un altro: tale tesserino sarà di qualche concreta utilità all’esercizio della professione?
Si assiste ad una certa diffusione di placche di metallo messe in commercio o a disposizione da talune associazioni somiglianti (volutamente?) a quelle in uso alle FF.OO e tali distintivi possono, di fatto, essere idonei a trarre in inganno il privato cittadino. Se a ciò abbiniamo l’uso di un tesserino ministeriale il rischio di commettere degli abusi è davvero dietro l’angolo…
Questa è la prima problematica che potrebbe innescare il possesso di un tesserino del genere che da una parte rappresenta certamente un segno distintivo inequivocabile per potersi qualificare come “investigatore privato” e dall’altra ha enormi potenzialità ingannevoli, se venisse utilizzato in malafede.
Ecco – quindi – che giunge uno strumento che, alla luce delle ragioni sopra esposte, aumenta, semmai, le possibilità di mettersi nei guai e non aiuta concretamente il detective a risolvere alcuna delle sue mille difficoltà quotidiane.
Qualcuno potrà eccepire che tale tesserino è equipollente a un documento di identità e – pertanto – potrà essere esibito, per esempio, al posto della carta d’identità. Vero, nella misura in cui conterrà la foto (ancora non lo sappiamo) ma questo, ancora una volta, non porta alcun vantaggio tangibile alla categoria, se non quello di esibirlo invece del documento d’identità. E se non conterrà la foto del diretto interessato non potrà servire neppure a questo! A molti, probabilmente, sfugge questo aspetto tecnico-giuridico.
Ecco perché mi sorprendo di questo eccessivo ottimismo che, suppongo, andrà scemando nel tempo, quando l’obiettività e il realismo prenderanno il sopravvento sui facili entusiasmi. E aggiungo che i meriti (se di meriti si può parlare) di questo risultato non sono riconducibili ad alcun soggetto in particolare, se non a coloro che hanno coniato il D.M. 269/10 nel quale era previsto l’introduzione del tesserino che arriva con ben nove anni di ritardo.
Per quanto mi riguarda – quindi – tale tesserino è quasi del tutto inutile, una sorta di “contentino” per aver bistrattato l’intera categoria, regolamentata per 80 anni da una norma retriva e obsoleta.
Mi pare poco.
Ciò detto mi preme fare un’ulteriore analisi, tornando agli ideatori del D.M. 269/10 che, con una alzata d’ingegno, hanno assimilato nelle licenze anche tutte le attività previste da leggi speciali o decreti ministeriali che – tradotto –significa potersi occupare anche di “security”, dai presidi negli stadi in occasione di un concerto fino alle discoteche o alle varie fiere/manifestazioni e quanto altro tali decreti vorranno prevedere in futuro.
Tutto ciò amplifica la sfera d’intervento di questi soggetti e da un punto di vista imprenditoriale è certamente positivo ma, allo stesso tempo, ne svilisce il ruolo, facendo un “insalatone” di competenze e funzioni che francamente trovo difficile riscontrare in un unico professionista. All’improvviso – infatti – (ossia dal 2010) tutti i detective italiani sono autorizzati, se ne fanno richiesta, a svolgere questo tipo di attività, e per grazia ricevuta si possono considerare anche esperti di “sicurezza”, senza per ciò aver compiuto alcuno sforzo per guadagnarsi tale attributo.
Praticamente si è applicata la “proprietà transitiva”.
Il detective (x) in quanto possessore di una licenza per svolgere indagini (y) e ipotizzando che tale autorizzazione sia anche in relazione con la “security” (z), ne deriva che l’investigatore (x) sia certamente competente in fatto di sicurezza (z).
Bastava prevedere, invece, se si volevano fare le cose per bene, che per ottenere quel tipo di estensione a livello di licenza dovevi certificarti “security manager” secondo i criteri stabiliti nella norma UNI 10459 e maturare, nel frattempo, una fattiva esperienza nel settore.
Quando e se normeranno la figura della “guardia del corpo” faranno lo stesso imbarazzante gioco di prestigio?
Altra discrasia totalmente inaccettabile è non aver saputo distinguere nettamente le licenze ottenute con il vecchio ordinamento (ex art. 134 TULPS) da quelle ottenute dopo l’introduzione del D.M. 269/10 per cui il Cliente, in barba al codice del consumo, potrebbe trovarsi di fronte, indifferentemente, un investigatore privato con la licenza media oppure un laureato.
Sarebbe opportuno che gli organi ministeriali in seno alla commissione consultiva inizi a dialogare anche con altri “soggetti”, donde evitare la produzione miope di norme illogiche, frutto solamente di interessi e privilegi “ad personam”, volti a generare monopoli inammissibili.
di Alessandro Cascio
Presidente Associazione Professionale Investigazioni e Sicurezza (APIS)