Roma – Negli anni 80 non c’era la tv del dolore che oggi, invece, entra prepotentemente nelle case degli italiani per spettacolarizzare il lutto e trasformarlo in normalità. C’era invece l’intrattenimento puro e genuino, affidato a programmi che alleggerivano i lavoratori già debilitati fisicamente dopo una dura giornata ma vogliosi di rallegrarsi e ristorarsi con la famiglia. Enzo Tortora conduceva ‘Portobello’ su Rete2 (oggi Rai2) e faceva sorridere grandi e piccini. Supergulp era il programma più amato dai ragazzi, il grande Mike Bongiorno conduceva il programma mattutino “Bis”, invitando i telespettatori a risolvere rebus dietro un tabellone.
E mentre le radio nazionali trasmettevano senza sosta “M’innamoro di te” dei Ricchi e Poveri e “Donatella” della Rettore, la sera del 6 giugno del 1981 Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio venivano uccisi a Scandicci, in una stradina sterrata sulle colline di Roveta, all’interno di una Fiat Ritmo color rame, per mano del Mostro di Firenze. I giornali dell’epoca raccontavano in prima pagina le barbarie di un killer senza volto che aveva asportato interamente il pube alla giovane.
Mentre l’Italia assisteva con sgomento a tutto ciò, a Roma, c’era la famiglia Rampi che trascorreva le vacanze presso la residenza estiva in via del Vermicino, a Finocchio. Una famiglia molto unita, composta da Papà Ferdinando Rampi, Francesca Bizzarri, nonna Veja, il piccolo Alfredino di 6 anni e Riccardo di 2 anni. Era mercoledì 10 giugno, quando papà Fernando decise di andare a fare una passeggiata con il piccolo Alfredino e due amici. Tutto proseguiva secondo la norma, salvo per il ritorno, quando Alfredino chiese al padre di poter tornare a casa da solo. Il padre acconsentì. Ferdinando giunse a casa alle ore 20.00 circa e si accorse che il piccolo Alfredino non era ancora rientrato. La famiglia si allarmò e immediatamente scattarono le ricerche. I genitori, però, non riuscirono a trovarlo. Alle 21.30 chiamarono le forze dell’ordine. Giunsero le unità cinofile che individuarono un pozzo artesiano sito in via Sant’Ireneo ma sin da subito le manovre di recupero si rivelarono complesse.
Venne pronosticata una lunghezza del pozzo di 36 metri, anche se complessivamente risultava essere pari a 85 metri. I soccorritori fecero scendere una tavola legata ad una corda, auspicando che potesse arrivare in fondo per far aggrappare Alfredino. Il tentativo fu vano, poiché si ruppe a metà percorso e ostruì l’ingresso. La vicenda ebbe un’enorme eco mediatico, con una diretta RAI di 18 ore. Numerosi furono i tentativi compiuti per salvare il piccolo Alfredo che dal pozzo, mediante un microfono calato all’interno, comunicava all’esterno urlando, piangendo e facendo mobilitare un’Italia curiosa ma inerte dinnanzi a cotanto dolore. Furono in tanti accorsi in aiuto per il piccolo Alfredino Rampi: nani, circensi, contorsionisti e infine Angelo Licheri, un tipografo 37enne che entrò nel pozzo a mani nude, tentando di salvarlo in tutti i modi, ma non ci riuscì e quando si trovò in superficie scoppiò in un pianto di dolore e disperazione.
Venne scavato un pozzo parallelo, ma le vibrazioni della trivellazione provocarono una ulteriore discesa del corpo. Giunse sul posto anche Sandro Pertini, Presidente della Repubblica. Il 13 giugno, dopo 60 ore di dolore e numerosi tentativi andati a vuoto, il conduttore Massimo Valentini annunciò al Tg1 la morte di Alfredino Rampi, con le lacrime agli occhi che rappresentavano il dolore di un paese che aveva ben sperato fino alla fine. Giancarlo Santalmassi durante l’edizione straordinaria del Tg2 del 13 giugno 1981 dichiarò “Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all’ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi”.
di Angelo Barraco