La morte di Denis Bergamini è una storia piena di misteri che non lo erano fin dal primo minuto, ma che sono stati forzati a diventarlo per servire una tesi sola: quella dell’omicidio. I risultati del collegio peritale –che certo non mettiamo in discussione, visto che non facciamo i medici di mestiere- si scontrano con dati di indagine che vanno dalla parte opposta.
In questo clima in cui si cercano però le prove di un complotto che fa vendere giornali e salire l’audience, ecco la testimonianza del calciatore Sergio Galeazzi: parliamo delle ombre che avrebbero aspettato Denis al di là delle tende di velluto del cinema Garden, dove il Cosenza Calcio si trovava quel pomeriggio per rispettare il suo rito pre-partita. Galeazzi le ha viste e ne parla. Sono gli assassini di Denis? Suggestivo, ma sono solo ombre. Un cinema è un posto buio, per definizione pieno di ombre. Chiunque entra in sala lo diventa. A questa vaga testimonianza si univa allora quella dell’anziano parcheggiatore Natale Ferraro, che quel pomeriggio stava proprio di fronte al Garden, il quale riferiva a Donata Bergamini (ma solo nel 2011) che Denis era uscito con una bella ragazza ed era salito su un’auto scura.
Poi si scopre che: Ferraro era affetto da demenza senile e chissà di che parlava, mentre Galeazzi non sapeva precisare nemmeno se aveva visto due maschi o due femmine. Col solo risultato, quindi, che potrebbero essere due qualsiasi spettatori che non c’entrano nulla. A questo aggiungete che nessuno s’è chiesto che senso poteva avere, per gli assassini, farsi vedere in faccia dentro il cinema: quello di costringere Denis a seguirli, col rischio che lui si opponesse loro, fisicamente, in un luogo pubblico? La maschera Luigi Fiorito alimenta questo vortice di confusione raccontando a Donata che due persone attendevano Bergamini fuori dal cinema e una era la Internò, salvo poi, nel 2012, non confermare davanti al giudice. È inutile dirvi che è solo quello che si verbalizza in Procura che conta, non una chiacchierata a telefono.
Quello che resta inspiegato, piuttosto, sono le tre telefonate fatte e ricevute da Denis quel giorno: Bergamini appare assente, pensieroso dopo aver ricevuto quella nella camera del Motel Agip tra le 15 e le 15.30; evidentemente sa già che vedrà Isabella, quindi prende la sua Maserati (cosa che non faceva di solito) per andare al cinema con la squadra. Prima fa –forse, perché il compagno di squadra Michele Padovano lo vede andare verso i telefoni del Motel, ma non lo vede chiamare- una telefonata dalla hall, che coinciderebbe temporalmente con quella che Isabella dice di aver ricevuto alle 16. Al Garden, quel pomeriggio, c’era anche il figlio del titolare, che vede Denis fare un’altra telefonata di 1-2 minuti dalla hall, quindi rientrare in sala. Qui, Denis chiede al massaggiatore Maltese dove sono i bagni, cosa che invece sapeva benissimo, per far credere di essere ancora lì mentre sta per allontanarsi. A questo punto sono circa le 16.30. Non sappiamo chi chiami Denis al Motel e a chi lui abbia telefonato dal cinema. Così come non sapremo mai chi abbia telefonato a Boccaleone il 13 novembre precedente, a casa Bergamini, quando lui si alza per rispondere, tornando rosso e sudato, sconvolto, passando poi la notte senza dormire. Collegare tutto e sostenere che subiva minacce dagli Internò va provato: ma a molti oggi le prove non interessano, interessa solo una bella corda appesa in piazza. Va anche detto che le amiche che erano con Denis a cena 48 ore prima della morte, giovedì 16 novembre, non confermano affatto, invece, la presunta aggressione che Bergamini avrebbe subito fuori dalla Steak House di Dipignano. Neanche Padovano ne sa nulla.
Ma ormai tutto viene rigirato di conseguenza. Denis che alla fine della rifinitura, quella mattina, scalpita perché la sua Maserati è rimasta chiusa dall’auto dell’allenatore in seconda Pini e che quindi, secondo l’ineffabile avvocato Gallerani, aveva certo un appuntamento con qualcuno (ovvio, in meno di 45 minuti, quando alle 12.30 doveva essere a pranzo con la squadra al Motel Agip di Rende…). Ora diventa tutto un mistero, l’ombra degli assassini è dappertutto.
Un altro mistero, grande, immenso quanto la sua inesistenza, è poi quello della frenata del camion. Il brigadiere Barbuscio, nei suoi rilievi di quella sera, sbaglia di tutto: rileva in 40-45 km la velocità del mezzo (che poi sarà esattamente calcolata dal perito Coscarelli in 30-35 km) e nelle 19.20 l’orario dell’incidente (anche qui corregge Coscarelli: 19.11). Ma soprattutto individua una traccia di strisciamento del corpo di metri 59, dalla piazzola al cadavere. Barbuscio sbaglia, il camion non ha frenato per 59 metri: Coscarelli lo corregge 5 giorni dopo e Barbuscio ammette l’errore. Pensate che sia bastato? Macchè, questa grande dimostrazione di complotto (col brigadiere che ammette l’errore al perito, peraltro) va avanti a tutt’oggi, quando invece è durata cinque giorni e nulla più, subito corretta e messa agli atti. Insomma, è inutile mostrare in tv le scarpe di Denis Bergamini e dire che non è possibile che sia stato trascinato per 60 metri: certo che non lo è, e l’hanno detto subito. I piedi di Denis, tra l’altro, sono rimasti fuori dalla sede stradale per quei 5-8 metri di trascinamento del corpo (misurazione del Ris): oltre l’asfalto c’era erba bagnata, ecco perché le scarpe non si sono rovinate.
I rilievi di Barbuscio furono certo frettolosi e approssimativi, è un dato di fatto: ma da qui a rendere il brigadiere parte di un complotto ce ne vuole. A oggi, non esiste nemmeno la prova che lui, Pisano e gli Internò si conoscessero (abitavano in tre posti diversi, peraltro). Altre cose, poi, si spiegano assai facilmente: la posizione della Maserati non fu rilevata in piantina per il semplice motivo che non era coinvolta nel sinistro stradale, che riguardava un pedone e un camion; mentre la mancata allegazione agli atti del foglio di servizio sugli autoveicoli controllati dai Carabinieri nelle ore precedenti ci riguarda poco, visto che la Maserati comunque non vi era stata annotata –come spiega il carabiniere De Palo- per il semplice motivo che stavano cercando ben altra auto.
La Maserati di Denis Bergamini e il camion non vennero sequestrati, vero: non per un misterioso complotto ma perché –ripetiamo- l’auto non era coinvolta nell’incidente, quindi non c’era motivo di tenersela; mentre il camion anche per un motivo pratico. Ok, sequestri un camion, ma poi dove lo tieni parcheggiato, nella caserma dei carabinieri, col carico di mandarini che vanno a male? È la stessa prassi –giusta o sbagliata- che si segue quando si sequestra un allevamento di animali. Non puoi portarti i visoni in caserma.
Ancora: la piazzola, il giorno dopo, appare fangosa e argillosa ai Bergamini, e loro notano subito che non c’è traccia di questi materiali sotto le scarpe di Denis, dunque il dubbio è che non abbia mai camminato all’esterno dell’auto. Ma sappiamo dai testimoni Napoli (che sono la bellezza di quattro) che lo fece, e tutti riferiscono che quella sera piovigginava appena. Non serve sapere come stava la piazzola il giorno prima l’incidente, interessa quello dopo. Altrimenti sono discorsi che valgono come il due di coppe a briscola.
di Fabio Sanvitale