La vicenda della morte di Denis Bergamini continua a regalare colpi di scena e dubbi. Pochi giorni fa l’avviso di garanzia a Luciano Conte, marito di Isabella Internò: il modo usato dalla Procura di Castrovillari per poter fare una perquisizione a casa loro in cerca di una foto (ammesso che esista) che ritragga insieme la Internò e Pisano, i due indagati per la morte del calciatore.
Negli ultimi mesi Bergamini è stato riesumato. Sono state fatti la bellezza di 101 prelievi, quel giorno. Esaminate le lesioni scheletriche, prelevati capelli e midollo osseo per fare un tossicologico alla ricerca di eventuali sostanze usate per stordire il calciatore, acquisiti frammenti di organi per vedere se conservavano tracce di vitalità al momento della morte, cercate tracce biologiche sulle scarpe e sulla moquette posteriore dell’auto, studiato se la macchia ematica già trovata dai Ris nella parte anteriore del veicolo appartenesse o no alla Internò. E cosa si è scoperto? Che la macchia ematica non è sua, che le scarpe non dicono nulla, che è passato troppo tempo per far parlare il tossicologico, che la traccia sulla moquette posteriore non era più esaminabile. Le lesioni però hanno parlato. Ma per chiarire o per confondere?
Le lesioni hanno detto che il camion ha investito Denis fermandosi a metà del bacino e della colonna vertebrale e il nuovo collegio peritale (Antonello Crisci, Carmela Buonomo, Maria Pieri) ha confermato che Denis Bergamini al momento dell’impatto col camion era a faccia in giù. Segni di investimento non ci sono sul corpo (cioè di urto, caricamento, abbattimento, trascinamento…): era proprio sdraiato. Ma vivo o svenuto?
La risposta l’ha data una cosa chiamata glicoforina: è una procedura di colorazione dei reperti che si fa mettendoli in paraffina, tagliandoli a fette e poi colorandoli con questa sostanza, che è un anticorpo. Il principio è che se c’è glicoforina c’è il ferro, e siccome il ferro sta nell’emoglobina, se c’è emoglobina la lesione è stata inferta in vita. Chiaro? Studi su questa metodica ce ne sono tanti e per quanto cercarla dopo 28 anni dalla morte sia un caso limite, se l’hanno trovata l’hanno trovata ed è un dato di fatto.
Alla glicoforina sono state chieste risposte, ad esempio sui polmoni di Denis. Nei suoi polmoni infatti gli alveoli erano rotti, c’era un enfisema acuto, una cosa molto strana in uno sportivo come lui. Su questo i periti – a differenza dei precedenti, Giorgio Bolino e Roberto Testi– sono stati categorici: a parte un’asfissia meccanica, è difficile ipotizzare un’altra causa. Negli alveoli la glicoforina è positiva: quindi qualsiasi cosa è successa ai polmoni, per loro è successa in vita. Invece risulta negativo il margine delle fratture al bacino, il che fa credere che queste siano post mortem. La glicoforina è positiva anche a livello laringo-tracheale. Dalle indagini radiologiche però non emerge qualcosa di violento al collo, mentre l’accumulo di apoproteina A e dell’anticorpo monoclonale CD68, infine, depone secondo loro per un’asfissia meccanica: quindi anche il nuovo collegio peritale pensa a qualcosa tipo una busta di plastica per soffocarlo.
I periti non possono dire, però, se al momento dell’investimento Denis Bergamini fosse in limine vitae (al confine tra vita e morte) o già morto. Tutto chiaro, allora? Omicidio certo? Ma anche no. La medicina legale e la logica investigativa non vanno nella stessa direzione. Mai come in questo caso siamo di fronte a contraddizioni totali tra l’una e l’altra, dalla quale dipenderanno le vite di tre persone. E la memoria di Bergamini. Lo vedremo meglio nella prossima puntata.
di Fabio Sanvitale