Premessa: questo è un articolo lungo. Se avete a cuore la verità su un bambino scomparso nel nulla, leggetelo, perché questa è una storia al di là dell’incredibile. Questa è la storia di Pasqualino Porfidia, che è sparito, che è stato cercato, che forse sta a venti centimetri da dove non s’è trovato.
Era una mattina di maggio di tre anni e mezzo fa. Erano tre giorni che decine di persone tra vigili del fuoco, carabinieri, vigili urbani, muratori, cani poliziotto, consulenti, cercavano a Marcianise, dalle parti di Caserta, il corpo di Pasqualino, scomparso a 9 anni in un altro giorno di maggio, ma del 1990.
Questa storia comincia infatti il 7 maggio 1990 a Marcianise, tra un gruppo di case che affacciano su via Arno (nella foto). Siamo a rione San Giuliano. È lunedì e non c’è scuola: roba di elezioni comunali. La mamma di Pasqualino, Rosa, va a votare e lo lascia a casa con un amichetto. È quasi estate e lui, invece, esce. Aspettavamo le notti magiche del Mondiale, in quei mesi del ‘90, noi e ogni bambino d’Italia. Anche Pasqualino le aspettava. Lo vedono su una panchina tra via Arno e via Tevere, verso le 11.30 di quella mattina là. Sparisce. I carabinieri sprecano i primi giorni a sospettare i Porfidia di aver venduto il bambino; finchè non si decidono a sentire gli amichetti, ma senza spingere troppo. Poi capiscono che non può essere, guardano nelle fogne, vicino la ferrovia. Eppure. Eppure nel 2000 un cugino di Pasqualino ha raccontato che vicino la sala giochi c’era spesso un uomo sui trent’anni, che vendeva ai bambini riviste porno o, secondo alcuni, allungava banconote da mille lire. Eppure quella zona è ricca di cunicoli. Eppure a 100 metri abita un pedofilo. I carabinieri queste cose non le sapevano?
Fatto sta che tutto si ferma, Pasqualino entra nel battaglione fantasma di quelli che entrano nella buia galleria e non ne escono più. Passano gli anni e tutto tace. I suoi genitori sono persone semplici. Poi, nel 2012, succede una cosa da romanzo giallo: la più classica delle lettere in punto di morte. Un colpo di scena, che sembra da scrittori per quanto è vero. Un trentenne si suicida a Milano e lascia una lettera in cui racconta gli incubi con cui ha vissuto tutta la vita. Inutile scappare lontano, l’hanno seguito anche lì, notte dopo notte, risveglio dopo risveglio. Incubi iniziati 750 km a sud, a Marcianise. Non è un caso: perché lui Pasqualino l’ha conosciuto, ci ha giocato insieme. L’uomo ha subito abusi sessuali a 8 anni, nel 1990. Fa nome e cognome del pedofilo. Un anziano, che non pagherà mai con un giorno di carcere i suoi divertimenti coi bambini. E che ovviamente dice di non aver fatto nulla, né di conoscere Pasqualino. La morte del trentenne allora è stata inutile? No, perchè porta alla riapertura delle indagini, come chiedono i Porfidia. E’ il 7 marzo del 2014 quando il Gip di Santa Maria Capua Vetere accoglie la richiesta del Pm Alessandro Di Vico, e firma le carte.
E siamo al 30 maggio di quel 2014. Finalmente cercano Pasqualino con ogni ben di Dio. Georadar, cani da cadavere, pale, tutto. Tutto quello che 14 anni prima o non c’era o non si era usato. Salvatore Gionti è l’avvocato dei Porfidia: “Nel 2014 ci sono state anche intercettazioni, che però non hanno dato esito. Sono stati interrogati gli amici dell’epoca di Pasqualino, ascoltati sommariamente nel ’90: la Procura ha sentito molto il caso. L’unico sospettato è restato quello emerso dalla lettera del suicida, che però non è stato realmente collegato a Pasqualino, non si sono trovati riscontri”.
Ma se il bambino c’è, dev’essere intorno casa sua, perché è lì, tra quelle mura diroccate, tra quella spazzatura, che si è svolta questa storia paesana, viscida. La magistratura punta infatti tre case di via Arno e delle sue parallele. Per tre giorni il miglior cane da cadavere della Polizia di Stato, lo splendido Orso, che trova corpi sotterrati e murati anche da 6-7 anni, che li trova anche sott’acqua, cerca e ricerca, ma svicola, non si fissa su nessun punto, non trova. Entrano in sotterranei, case abbandonate. Quando scocca l’ultima ora, quando il gong sta per suonare, ecco che annusa verso la fine di un muro robusto, fatto a grossi blocchetti di tufo, lungo 70-80 metri. Sta in fondo a via Arno, sulla sinistra, e guarda in faccia quel campetto –oggi coltivato- dove i bambini un tempo giocavano a pallone. È il muro esterno del civico 9 (nella foto).
Orso fiuta qualcosa tra un mattone e l’altro. È a pochi metri da casa Porfidia, stessa strada. Il georadar conferma: là dietro c’è un vuoto. Nella squadra di ricerca c’è infatti il geoarcheologo forense Pier Matteo Barone: “Il georadar segnalava che il terreno dietro il muro aveva subìto un differente tipo di riempimento. È come a Pompei, dove la cavità si è formata quando i corpi in decomposizione hanno lasciato una sorta di impronta nel terreno, un vuoto appunto”. Come l’impronta di qualcosa. Il vuoto di qualcosa che c’era e non c’è più. E c’è anche lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Mignacca: “la sensazione primaria che si sentiva era che lui fosse lì vicino, avvertito da tutti“.
Rosa Maria Di Maggio, geologa forense, quel giorno faceva parte della squadra: “Dalle foto aeree abbiamo visto che dietro il muro nel 1990 non c’era nulla, solo terreno di riporto. Nel 1991 ci hanno costruito sopra una casa, che è rialzata dal piano del cortile di quasi un metro: poggia proprio su quel terreno. Abbiamo fatto uno scavo alla base del muro, in cui però il cane non ha trovato nulla, allora abbiamo fatto uno scavo orizzontale che ci ha fatto intercettare l’intercapedine tra la base del cortile e quella della casa e siamo sbucati sotto il pavimento del piano terra”. Si comincia a picconare, ma il buco non può andare oltre un metro, perché se allarghi rischi di far venire giù la casa, di toglierle letteralmente il terreno sotto i piedi. Lo scavo deve fermarsi sotto il bagno. Comunque sia, si trovano delle ossa, dei brandelli di vestiti, una scarpa numero 37 (troppo grande). Se fosse Pasqualino sarebbe inquietante: come non notare che la casa del civico 9 dà sullo stesso cortile su cui dava casa Porfidia? Come non notare che il civico 9 è stato costruito l’anno dopo la scomparsa del bambino, quasi a volerne sigillare la tomba? Portano le ossa all’Istituto di Medicina Legale di Napoli, c’è una perizia. Il responso gela tutti: sono animali, conigli e gatti. Passa altro tempo e il fascicolo del caso Porfidia torna di nuovo in archivio: è novembre 2016.
E’ ancora Mignacca a dirci come si sono sentiti tutti, in quel momento: “Quando le indagini non ebbero l’esito che tutti c’eravamo posti, questo ha rappresentato un peso. Un peso dal quale non potremo mai sottrarci. Al di là di tutto quello che può essere la scienza investigativa, lo spirito che ci univa era quello di trovare il bambino, come se lui fosse diventato quel compagno di giochi perduto”. Imma Giuliani, psicologa e criminologa, ha vissuto anche lei quei tre giorni di speranza e fatica: “Nella mia esperienza è successo raramente che il quadro criminologico fosse la risultante di convergenze investigative così ben delineate e dirette, che esprimessero una dinamica difficilmente soggetta ad altre interpretazioni. Certo non escludiamo l’errore, ma in questo caso è sacrificabile in nome della verità”.
Ma Orso, allora? E l’ipotesi del vicino di casa? Tutto sbagliato? Lo chiediamo a Chantal Milani, antropologa e odontologa forense: “Il cane non è da considerarsi una prova, ma un elemento per direzionare le indagini. Uno strumento assai potente, a patto che si scelga il cane giusto, addestrato alla ricerca di cadavere e tracce ematiche, dal momento che tutti i cani sono molecolari, ma tarati su molecole diverse. Certo, se segnala difficilmente non c’è nulla, poi che sia un cadavere o che siano altre tracce ematiche non lo si può sapere prima. Come non si può escludere a priori che, a fronte di una segnalazione del cane, ci siano ossa umane nella parte sotto il bagno che non è stata scavata”. Giusto: Orso è il miglior cane della nostra Polizia (ora è in pensione). Nell’addestramento gli è stato insegnato a distinguere l’odore della decomposizione animale da quella umana, e certo non è possibile escludere un’errata interpretazione. Gli è stato insegnato a fiutare il sangue umano, ma anche se ne fosse filtrato un po’ (magari mestruale) dalle tubature del bagno, parliamo di una scarsa quantità e peraltro filtrata dal terreno…
“Non si può escludere che ci siano ossa umane nella parte sotto il bagno che non è stata scavata”, dice la Milani. “Basterebbe smontare solo il bagno, anche solo la vasca”, aggiunge Barone. Sta di fatto che la Procura di Santa Maria Capua Vetere dopo l’esito della perizia si ferma, sceglie di non cercare ancora, di non buttare giù il bagno. Si ferma a quel metro cubo di terra, senza pensare che il corpo potrebbe essere invece a venti centimetri più in là. O forse il problema era anche scassare il bagno di quella famiglia, con tutte le complicazioni e le burocrazie?
Ma Pasqualino? E se la sua bara fosse sempre stata quello squallido buco nel muro, tra ragnatele e erbacce? Se fosse sotto una vasca da bagno? Perché i suoi genitori non hanno una tomba dove portare i fiori, quando viene novembre? Perché non fanno l’ultimo sforzo per riportare a casa Pasqualino?
di Fabio Sanvitale