Noemi e Lucio, 16 e 17 anni. Una storia “d’amore” tra ragazzi, come se ne vedono tante. Ma in questa storia non c’è lieto fine e, dopo un anno di alti e bassi, di denunce e di liti, si è conclusa con la morte di Noemi. Una escalation di dramma che ha raggiunto il suo apice di crudeltà lo scorso 3 settembre. Adesso rimangono solo una bara bianca e tante, troppe domande a cui dover dare risposta.
Come può una relazione tra minorenni sfociare in un episodio di violenza? Perché il sistema di tutela minorile non è riuscito a mettere in sicurezza la situazione preventivamente? Quali sono stati i motivi che hanno spinto davvero Lucio a togliere la vita a Noemi? Esiste davvero un complice che lo ha aiutato nell’occultamento del corpo?
Omicidio Noemi e “ciclo della violenza” – Quello tra i due giovani parrebbe propriamente un caso descrivibile attraverso il “ciclo della violenza” (ideato nel 1979 da L.Walker, psicologa americana fondatrice del Domestic Violence Insitute), una sequenza di fasi violente che spesso portano alla morte di uno dei due partner intimi. Vi sono l’aumento della tensione, attraverso litigi, la conseguente esplosione della violenza, una fase di depressione della tensione detta “luna di miele”, in cui la situazione di difficoltà nella coppia sembra affievolirsi e si manifesta un apparente pentimento; per poi ultimarsi con lo scarico della responsabilità, nei confronti del partner vessato. Ed è proprio questa fase quella che più ci interessa: è qui che gli aggressori ricercano le cause che hanno dato il via al ciclo, attribuendole spesso a fattori esterni, come il consumo di alcol, di droghe o il comportamento stesso della vittima, che finisce per attribuirsi la colpa del fallimento della relazione. Questo meccanismo viene innescato in maniera inconscia dall’aggressore stesso, che così riesce a sgravare dalla propria coscienza il peso delle responsabilità. Questo cerchio, proprio come un cane che si morde la coda, difficilmente viene interrotto senza l’intervento di soggetti esterni, personale esperto ma anche familiari o amici.
È sotto questo profilo del “ciclo della violenza” che possiamo inquadrare la figura di Lucio, reo confesso di omicidio e occultamento del cadavere. Quel ragazzo con una personalità borderline, definito da chi lo conosceva come un giovane violento, geloso e possessivo con la fidanzata, con un passato di dipendenza da stupefacenti, con piccoli precedenti penali e tre trattamenti sanitari obbligatori effettuati nell’ultimo anno. Lucio che, nonostante fosse un ragazzo problematico, all’alba del 3 settembre prende la macchina della madre (senza avere la patente poiché minorenne) e si incontra con la fidanzata Noemi, per quelle che per lei saranno le ultime ore di vita.
Noemi, ragazza ribelle, spesso in contrasto con la sua famiglia che la voleva lontana dal quel ragazzo così violento. Proprio a causa di questi continui litigi in famiglia, che si concludevano spesso con la fuga della figlia, i genitori hanno denunciato la sua scomparsa solo il 6 settembre. Noemi, ragazzina innamorata in maniera accanita, che sopportava la gelosia del fidanzato e le saltuarie violenze subite, ma che forse stava maturando inconsciamente quanto questa relazione fosse malata: “non è amore se ti fa male” scriveva sul suo profilo Facebook.
A supporto dell’imputazione di Lucio non solo la sua confessione, ma anche la scoperta di tracce di sangue della vittima all’interno della sua auto e le testimonianze di alcuni amici che confermano la premeditazione dell’omicidio, che si aggiunge alle aggravanti della crudeltà dell’atto e delle futili motivazioni che hanno spinto l’assassino.
Durante l’interrogatorio, infatti, avrebbe dichiarato di essere stato costretto a uccidere la vittima, poiché questa da tempo programmava l’omicidio dei genitori di lui, a causa del costante clima di tensione tra le due famiglie. “O mi uccido o vado ad ucciderla!” avrebbe confessato infatti il ragazzo ad un amico prima di vedere Noemi per quell’ultima volta.
Dal lato investigativo, l’esame autoptico sul cadavere della vittima, a causa dell’avanzato stato di decomposizione del cadavere, non ha individuato ancora le cause certe della morte della ragazza. Un dubbio forte rimane sull’arma del delitto. Dall’autopsia, infatti, emergono ferite causate da mezzi diversi, situate tra il collo e la testa. Negli ultimi giorni i risultati dell’autopsia hanno rilevato segni di percosse lungo il corpo, elementi indicanti che la vittima sarebbe stata picchiata prima di essere uccisa a coltellate. Questo confermerebbe la versione dichiarata dal fidanzato, cioè di aver utilizzato un’arma da taglio. Infatti, è stata rinvenuta la punta di una lama nel cuoio capelluto della vittima, che coinciderebbe con il coltello da cucina descritto da Lucio durante la confessione. Inoltre, con gli accertamenti tecnici predisposti dall’indagine, si cerca di capire se Lucio abbia avuto il sostegno di un complice durante l’omicidio e/o l’occultamento del corpo, per questo si attendono i risultati dei tamponi di DNA raccolti sul corpo della vittima. Non a caso la Procura di Lecce ha aperto formalmente un’indagine nei confronti del padre di Lucio, sospettato di sequestro di persona ed occultamento di cadavere.
di Francesca Fanti