Nino, quando nasce l’idea della Banda della Magliana? “L’idea è del maggio 1975 a Regina Coeli. Ero stato arrestato per una rapina fatta a Bussi e incontrai di nuovo Selis. E lui ebbe l’idea di creare un gruppo criminale a Roma: l’input l’aveva avuto da Cutolo, di cui era fraterno amico. L’aggregazione vera e propria delle batterie è però del 1978. Noi eravamo dei criminali nati, poi c’erano quelli che lo facevano per diventare qualcos’altro, come De Pedis e Carminati. Ancora nel 1979, però, parliamo di batterie che hanno tra loro il mutuo soccorso, ma senza un progetto di conquista del territorio. Quando poi c’è stata una vera aggregazione tra noi, nessuno al di fuori lo sapeva. Così, quando i Proietti spararono a Giuseppucci (a parte che non lo fecero per uccidere ma per avvertirlo, sennò non avrebbero sparato alla pancia, ma alla testa) non si aspettavano che come reazione a Donna Olimpia saremmo arrivati io e Colafigli. Quando uscimmo fu una sorpresa per tutti, ma ormai non potevamo più fermarci. Quando ci fu l’omicidio di Giuseppucci dovevamo far capire che c’eravamo noi sulla piazza, ma fino ad allora stavamo sott’acqua, perché così le guardie non lo sapevano”.
Perché non hai mai fatto sequestri? “Non facevo sequestri perché non mi andava di fare il secondino dopo essere stato carcerato”.
Il gesto di uccidere lo immaginiamo tutti molte forte, sconvolgente: è così o no? ”E’ una cosa che quando la devi fare, la devi fare, non provi niente, non senti niente, lo fai e basta, sai che non hai scelta. A me non faceva senso uccidere. Ho ammazzato i miei simili, non un poliziotto o una vecchietta. Quando De Pedis fece uccidere Toscano, beh, lì fu diverso, non c’era più l’amicizia”.
Eppure anche chi uccide ha sempre qualcuno cui tiene. Una donna, un figlio, un cane. Forse chi hai di fronte è un simbolo, allora? Qualcosa di impersonale? “No, io quando partivo sapevo che dovevo fare quello. Lo facevo, senza provare rimorsi, senza niente. Sai quando ti vengono? Quando cambi vita e guardi indietro: allora hai dei brividi. Ma in quei momenti è mors tua vita mea, è quello che d’è!”
E quando hai deciso di venirne fuori? “Quando i soldi si divorano l’amicizia e l’ideologia, essere un infame non è poi così un disonore. So benissimo di essere un infame, come Lucioli. Ma da contesti del genere non ne esci salutando, solo troncando di brutto. Io mi sono fatto prima 11 anni di galera per i fatti di Donna Olimpia, tra cui varie isole e supercarceri. Quando sono uscito ho visto che niente era cambiato, a me stava nascendo la mia prima figlia e allora ho mandato tutti affanculo. Non mi sono pentito a un passo dal carcere, ci ho messo la faccia e l’indirizzo di casa. A me nessuno mi può dire che l’ho fatto per i soldi. Che non lo so che oggi può arrivare una motocicletta a spararmi? Embè, tante volte so’ arrivato io, mò arrivano loro, no?”.
Era convinto che non sarebbe arrivato a 30 anni. Oggi, Nino Mancini va per i 70 ed è impegnato a raccontare la sua storia nelle scuole e a lavorare con i ragazzi disabili. Non chiede a nessuno di emularlo, continua a fumare un milione di sigarette e bere un miliardo di caffè. La Banda appartiene ad un passato che pesa, il futuro è ora.
(fine senconda parte)
di Fabio Sanvitale