Nino Mancini è un sopravvissuto. E’ stato un boss della Banda della Magliana, oggi è uno dei pochi che sono ancora vivi. Giuseppucci, De Pedis, Abbruciati sono morti. Nato a Castiglione a Casauria, in Abruzzo, poteva essere tranquillamente uno che avrebbe vissuto tutta la vita in paese: chissà come sarebbero andate le cose. Piuttosto, com’è invece che ti sei ritrovato a Roma? “Alle elementari avevo 9 a Educazione civica e morale, pensa. I miei per cercare di stare meglio decisero di trasferirsi a Roma e così arrivai a San Basilio, a 10-11 anni. Mio padre faceva l’operaio, la borgata era spoglia, per i bambini non c’era niente tranne un Pidocchietto (un piccolo cinema, N.d.A.). C’era un vascone dove i contadini andavano ad abbeverare le bestie, per noi era la piscina. I genitori a noi bambini ci dicevano: non gli dite agli altri che siete di San Basilio. Il quartiere, infatti, c’aveva la nomea di essere abitato da comunisti e ladri. Quando ci proponevamo come cascherini (quello che fa le consegne per un negozio, N.d.A.) e dicevamo che eravamo di San Basilio il lavoro che prima c’era poi non c’era più. Il quartiere aveva anche la particolarità di essere in due blocchi, c’era quello del mio papà che s’alzava alle 5 e poi quelli che s’alzavano a mezzogiorno, non facevano niente da mattina a sera, sfoggiavano oro, poi ogni tanto sparivano per qualche mese. Io non capivo: poi scoprii che erano dei ladri”. E allora che successe? “Allora io lanciai la solita monetina e lei scelse che sarei stato nel blocco dei ladri e così cominciai con la prima Lambretta. Ci fermarono subito, sulla Nomentana. Poi abbiamo fatto un passo avanti, rubando macchine”.
Alt, aspetta. Tutta colpa del caso? “Guarda, io ho fatto un percorso da piccolo delinquente a malavitoso, a criminale. Ero bravo a scuola. Ho iniziato a scrivere prima dei 5 anni. Io non do colpa alla società, perché oltre me a San Basilio (nella foto sotto, di Valerio Muscella, N.d.A.) c’erano altri ragazzi in borgata, ragazzi con gli stessi problemi; e sono usciti fuori dei campioni come Tassotti del Milan, cantanti come Mannarino, Moro…loro hanno avuto più costanza di me , a me il brodo Star che mangiavo tutte le sere m’ha fatto venire il mal di stomaco”.
Insomma, volevi di più, volevi i soldi. “Nessuno nasce quello che è, a casa mia nessuno aveva mai preso nemmeno una multa. Io non l’ho fatto per diventare ricco, perché ricco oggi non lo sono. I soldi me li sono mangiati tutti. Ogni mattina non sapevo se il giorno dopo li avrei potuti spendere. Io sono comunista, ma non aspettavo che arrivasse Baffone, facevo da solo. Volevo i soldi ma per mostrare che avevo i soldi. I testaccini erano invece quelli che investivano nella finanza”.
Va bene, te li sei sfrusciati tutti. Se non era per i soldi, allora per cosa è stato? “E’ stata l’invidia sociale. Io volevo dimostrare a me stesso che mio padre non era un fesso. Non aveva santi in paradiso. Io volevo spalancare coi soldi le porte che a lui avevano chiuso in faccia. Lui era analfabeta e comunista, aspettava i cosacchi a San Pietro. Io ho scelto di non aspettare più, sennò stavo fresco. Volevo stare meglio. Mannarino s’è salvato perché sapeva suonare la chitarra, io venivo da Castiglione dove le porte rimanevano aperte: non sapevo suonare nemmeno i campanelli, quindi non me so’ potuto salvà”.
Ma quando hai cominciato, un’idea di dove volevi arrivare ce l’avevi? “Nemmeno io sapevo dove sarei arrivato. Oggi, rivedendo tutto il mio cammino, se mi chiedono se sono pentito rispondo: ma pentito de che? Uno si pente se ha fatto due-tre reati, io li ho fatti per quarant’anni! Io ho fatto il criminale in modo consapevole. Per me il pentimento non esiste, chi si pente ha fatto un errore, io sono stato là quarant’anni! Cioè, adesso vado dalla figlia di Selis (Mancini fu nel gruppo che nel 1981 lo uccise, N.d.A.) e le dico che sono pentito, ma a che serve? Io sono uno che a un certo punto ha deciso di diventare un’altra persona, non un pentito. Semmai sono uno che non lo rifarebbe ancora. C’avevo la Ferrari, ero pieno di soldi, avevo una villa di quattro piani. Oggi ho scelto di fare un’altra vita. Mi dovevo fermare alle rapine, è la Banda che non è andata, il sangue inutile…”. (fine puntata 1 di 2)
di Fabio Sanvitale