Non è mai troppo tardi per trovare la verità. E’ così che, 38 anni dopo, si chiude la storia di Etan Patz, uno dei sequestri di minore più famosi degli Stati Uniti. Era una tiepida mattina a New York, era il 25 maggio 1979. Etan aveva 6 anni e proprio quella mattina aveva conquistato di poter andare a scuola da solo. Aveva in tasca un dollaro per comprarsi una lattina, lungo la strada. Erano le 8 di mattina, l’ultimo sguardo dei genitori lo vide all’incrocio tra la Prince e West. Stava raggiungendo la fermata dell’autobus, ma a quella fermata non è mai arrivato. Due strade, solo due strade da fare. Volatilizzato, tra le strade affollate del primo mattino, che aveva fatto mille volte. E invece fu proprio questa prevedibilità a essere il principio della fine.
Etan sparisce e i genitori sanno che la sua è una delle tante sparizioni nella grande città. Così, inventano l’impossibile. Mettono la faccia del figlio sui cartoni del latte: qualcuno dovrà pure vederlo. Era la prima volta che succedeva negli Stati Uniti, ora è cosa normale. Poi si mettono vicino al telefono e aspettano una chiamata dei rapitori. Una chiamata che non arriverà mai. Intanto i cani sono in giro, ma non trovano niente.
Poi, 38 anni di sospetti, di volantini affissi ai pali in quel maledetto incrocio dove Etan si è nebulizzato. Qualcuno che confessa, ma non è credibile. La polizia che si rifiuta di considerare chiuso il caso e scava nelle cantine della strada, senza trovare nulla. Nel 2001 Etan viene dichiarato legalmente morto, e i genitori presentano una causa civile contro Josè Ramos, un molestatore di bambini che era stato puntato precedentemente dalla Procura, senza arrivare ad un’incriminazione. Nell’aprile del 2004 vincono la causa civile contro di lui: viene condannato a pagare 2 milioni di risarcimento. Ogni anno, il giorno dell’anniversario, Stan, il padre di Etan, ha continuato a mandare in carcere a Ramos una foto di suo figlio, con la scritta: «Cosa hai fatto al mio piccolo ragazzo?». Adesso però una giuria penale ha dichiarato un altro uomo, Pedro Hernandez, 56 anni, colpevole di rapimento e omicidio. Si può condannare un uomo per un omicidio senza cadavere? Certo che si può, in Italia come negli Stati Uniti. Nel 2012 qualcuno infatti ha fatto il nome di Hernandez alla polizia. Quel qualcuno è un parente di Pedro. Lui aveva 18 anni nel 1979. Lo torchiano. Esce fuori che lavorava in un negozietto proprio sul percorso del bambino con la cartella (nella foto).
Racconta di aver attirato Etan nel locale offrendogli qualcosa da bere. Dopo lo ha soffocato, ha chiuso il suo corpo prima in un sacco e poi in una scatola e poi ha gettato tutto tra i rifiuti. Sì, ma il movente? Sesso? Si fa presto a dire omicidio. Un cadavere non c’è. Hernandez (nella foto sotto) soffre di allucinazioni, è schizofrenico. Forse ha creduto di aver ucciso, allora? Lo processano nel 2015 e succede una cosa particolare dell’ordinamento giudiziario americano: un mistrial. Vale a dire, succede che non c’è unanimità nella giuria. E se non sono tutti d’accordo o in un verso o nell’altro, il processo è da rifare da capo. Lo hanno rifatto: colpevole. Hanno pesato i particolari, i dettagli riferiti dall’uomo; il fatto che negli anni ha detto più volte ai parenti di aver ucciso un bambino. Ramos era innocente.
In questi lunghi anni il 25 maggio è diventata, negli Usa, la giornata nazionale dei bambini scomparsi. «Abbiamo dovuto attendere a lungo, ma alla fine abbiamo trovato un po’ di giustizia per il nostro piccolo Etan», ha detto Stan, il padre, uscendo dal tribunale.
di Fabio Sanvitale