E così, da marzo di quest’anno è arrivata finalmente la Banca Dati del Dna. Una cosa utilissima nella lotta al crimine. E, come tutte le cose italiane, è l’attuazione di una legge che risale alla bellezza del giugno 2009 (con la quale l’Italia aderiva al Trattato di Prum, un accordo firmato da alcuni paesi dell’Unione Europea – Austria, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Spagna, Paesi Bassi– il 27 maggio 2005). E allora, vediamo come funziona e a che punto è la faccenda. Perché la Banca Dati è operativa.
Tanto per incominciare, a chi viene preso il dna? Alle 49.800 persone che si trovano in carcere o agli arresti domiciliari o collocate in comunità; a chi viene arrestato in flagranza o sottoposto a fermo come indiziato di delitto; ai detenuti con sentenza definitiva per un delitto non colposo (cioè non commesso per imperizia, negligenza o imprudenza); a quelli che hanno le misure alternative sempre per sentenza definitiva per un delitto non colposo; a quelli che hanno una misura di sicurezza in via provvisoria o definitiva. E vale per adulti e minori.
Ora, immaginate la velocità con la quale sarà possibile scoprire l’autore di un reato, se è già schedato. E il modo in cui questi dati potranno essere scambiati con altre nazioni europee per l’antiterrorismo. O anche quanto sarà utile per le persone scomparse: se uno sparisce, i parenti potranno, in un’apposita sezione della Banca Dati, lasciare il loro dna o farlo prelevare dagli effetti personali del loro congiunto, in modo che lo si possa confrontare con quello dei tanti cadaveri non identificati che vengono ogni giorno ritrovati in tutt’Italia.
Il database fa capo al Ministero degli Interni, ma il laboratorio che gestisce e custodisce i prelievi è presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Che dovrà custodirli per un bel pezzo, perché la legge dice che vanno mantenuti lì per 30 anni, che diventano 40 se c’è recidiva. A meno che l’imputato non venga assolto con sentenza definitiva “perché il fatto non sussiste, perché l’imputato non lo ha commesso, perché il fatto non costituisce reato o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato“. Ecco allora che il profilo del dna viene cancellato e i reperti finiscono nel cestino.
Intendiamoci, non che fino ad oggi non ci fossero i prelievi del dna, ma veniva fatto solo su disposizione del magistrato, per fare dei confronti biologici: le persone potevano rifiutarsi, e in quel caso si poteva procedere con la forza. Ad occuparsene, adesso, è invece la Polizia Penitenziaria; se invece si tratta di un fermato, ad esempio, è roba della Scientifica. Questo per quanto riguarda la Polizia, ma il dna lo stanno prendendo anche Carabinieri e Guardia di Finanza. Poi, tutto questo finisce nel Laboratorio Centrale della Penitenziaria, una palazzina dietro la Corte d’Assise di Roma, in via del Casale di San Basilio. Qui ci sono strutture avveniristiche: dei robot in grado di fare l’accettazione, la catalogazione e la conservazione del campione biologico; l’ eventuale estrazione del DNA; la sua quantificazione e amplificazione. Insomma, roba fine.
A proposito, questo per l’Italia, ma all’estero? Non siete curiosi di sapere come funziona? Semplice. Ci sono tre modelli. Quello inglese prevede la raccolta del dna in modo coercitivo: basta un semplice arresto, per qualsiasi motivo. Non importa essere colpevoli con sentenza definitiva o solo sospettati, loro schedano tutti, conservano per cento anni e arrivederci. Quello francese, invece, archivia il dna solo quando una persona venga indagata per gravi reati o se a suo carico ci sono gravi indizi di colpevolezza. Praticamente, il contrario. E’ chiaro che, se questi indizi decadono, il profilo del dna viene distrutto. E poi c’è chi sta in una posizione intermedia, come l’Italia: sono scelte. Quelli come noi preferiscono fare una valutazione dei reati per i quali applicare il prelievo (ad esempio, da noi sono esclusi i reati amministrativi e finanziari), oltre che valutare la pericolosità sociale del soggetto, cioè quanto rischio c’è che possa delinquere di nuovo oppure no. Sta di fatto che la Banca Dati è un grosso passo avanti nella lotta al crimine, a 360 gradi.
di Fabio Sanvitale