A distanza di quasi tre mesi dalla sentenza di primo grado che ha visto Massimo Bossetti essere condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, sono arrivate le 158 pagine comprensive di 27 capitoli in cui i giudici hanno elencato ed argomentato le ragioni della colpevolezza del muratore di Mapello. I giudici della Corte d’Assise di Bergamo hanno definito di “inaudita gravità” l’omicidio della tredicenne di Brambate di Sopra, un delitto che ha messo in luce l’animo malvagio dell’imputato per la crudeltà e le sevizie inferte, un delitto pertanto “maturato in un contesto di avances sessuali verosimilmente respinte dalla ragazza, causando reazioni di violenza e sadismo di cui Bossetti non aveva mai dato prova ad allora”. Nonostante l’assenza di violenza consumata sul corpo della vittima, il movente sessuale c’è ed è stato dimostrato “dai ripetuti interventi sul reggiseno e sugli slip della ragazza e l’uso di un tagliente nelle diverse parti del corpo”, il tutto aggravato dal ritrovamento sul computer del muratore di ricerche pedopornografiche e dalle lettere che l’imputato aveva scritto alla detenuta Gina confermando così i gusti sessuali di Bossetti. Il dato certo e inconfutabile che dimostra la colpevolezza del quarantacinquenne è la prova genetica definita, dalla Corte presieduta da Antonella Bertoja e dal giudice a latere Ilaria Sanesi, come “assolutamente affidabile”. La prova del Dna considerata da subito per l’accusa come la prova regina e allo stesso tempo molto contestata invece dalla difesa per l’assenza del Dna mitocondriale (argomento approfondito nei precedenti articoli pubblicati da noi di cronaca-nera.it), è stata definita “priva di qualsiasi ambiguità e insuscettibile di lettura alternativa”, pertanto “non è smentita né posta in dubbio da acquisizioni probatorie di segno opposto e anzi è indirettamente confermata da elementi ulteriori, di valore meramente indiziante, compatibili con tale dato e tra loro”. Il decimo capitolo, infatti, che riguarda i risultati delle analisi genetiche, si conclude non solo con la conferma del riscontro di un elevato numero di marcatori Str e con l’attestazione che le suddette analisi sono state effettuate ed eseguite “nel rispetto dei parametri elaborati dalla comunità scientifica ed internazionale”, ma anche con l’affermazione, da parte dei giudici, che “per trovare un altro individuo, oltre a Massimo Bossetti, con le stesse caratteristiche genetiche sarebbero necessari centotrenta miliardi di altri mondi uguali al nostro, ossia un numero di persone nettamente superiore non solo alla popolazione mondiale attuale ma anche a quella mai vissuta dagli albori dell’umanità”. Inoltre si aggiungono i tabulati telefonici e la presenza di particelle di calce sul corpo della ginnasta: attraverso le intercettazioni effettuate si è dimostrato che l’imputato non solo rientrò a casa più tardi del previsto ma che non abbia mai fatto presente alla moglie il motivo del ritardo e dove si trovava; le tracce di calce e sferette di metallo conducono inevitabilmente a una persona che abbia a che fare con il settore siderurgico ed edilizio sottolineando che “la certezza dell’indizio non va confusa con la certezza del fatto da provare, giacché ciò che caratterizza l’indizio è proprio l’ambiguità”. Ritenute assolutamente diverse ed estranee le posizioni di Silvia Brena, insegnante di Yara, e del custode della palestra che in un primo momento erano stati coinvolti nella vicenda. Secondo i magistrati vi è una parte oscura nella dinamica dell’omicidio ma la prova del Dna rappresenta la certezza che Bossetti sia l’autore del delitto. Salvagni, uno dei due difensori del carpentiere, ha definito la sentenza come “totalmente appiattita sulla tesi dell’accusa” affermando che si è parlato di un movente sessuale “non supportato da elementi probatori”. Pertanto il legale ha comunicato l’avvio del ricorso in Appello. Sembrerebbe infine che il pm Letizia Ruggeri abbia invece espresso la volontà di ricorrere in Appello per l’assoluzione di Bossetti dall’accusa di calunnia nei confronti di Maggioni, suo ex collega di lavoro.
di Livia Ciatti