La mia vita, la vostra, nessuna vita è facile da spiegare. Nemmeno quella di Tiziana Cantone. Dunque, chi siamo noi, noi giornalisti, noi pubblico, per dire come e perché è morta? Semplicemente nessuno. Eppure, assistiamo in questi giorni alla sagra delle semplificazioni. Tiziana Cantone, la “ragazza dei video hot” , è morta per colpa di quei video.
Ridicolo, semplicemente ridicolo. Perché la Cantone non è solo la ragazza dei video hot: nei suoi 31 anni di vita è stata anche altro. Una figlia, un’amica, una fidanzata, una lavoratrice. Poi, chi ha detto che si sia uccisa solo per quei video? Sappiamo che era stata in cura per un’alcoldipendenza e che il frullatore in cui era finita aveva riportato a galla quel demone. Non sappiamo i motivi e anche se li sapessimo non li verremmo certo a scrivere qui, ma come si fa a non pensare che questo abbia avuto a che vedere con la sua morte? Essere dipendenti da qualcosa non significa essere sereni, ma avere delle problematiche profonde e potenzialmente autodistruttive, che una condizione pesante come quella in cui si è trovata possono aver aggravato.
Nessun imprenditore si uccide perché fa fallimento, nessun padre stermina la famiglia perché ha perso il lavoro, nessun artista si impicca nell’armadio perché non sopporta la vecchiaia, nessun adolescente per un brutto voto, nessuna ragazza perché la gente pensa sia una mignotta. Quante ragazze e donne hanno i loro rapporti sessuali immortalati e diffusi da anni sui siti porno? Tante. A volte lo sanno e non possono farci nulla, a volte lo sanno e se ne fregano, a volte erano consenzianti, a volte è una vendetta del loro ex. Ma non si ammazzano. Se lo fai, se non reggi a quella che è stata per la Cantone –oggettivamente- una situazione pesantissima, vuol dire che non sai reggere: che non è una critica, ma un dato di fatto. Tiziana era fragile, sennò in qualche modo ne sarebbe venuta fuori, magari scoprendo risorse che non sapeva nemmeno di avere. L’imprenditore, l’artista, il padre, non si uccidono solo per il motivo contingente, l’ultimo, ma sempre –sempre, lo dicono tutti gli studi di psicologia e criminologia da anni e anni- per una serie di motivi. Il suicidio è sempre multifattoriale: siamo noi giornalisti che nello sforzo idiota di semplificare, per non fare la fatica di capire, riduciamo un gesto enorme a un bilancio in rosso, a un cinque in pagella, a cose ridicole che hanno un senso tragico solo quando diventano la goccia che fa traboccare un vaso di disperazione. Disperazione che viene da molto più lontano, ma che né noi giornalisti, né voi pubblico, vogliamo sapere. Dovremmo allora cominciare a parlare non solo dei video, ma anche della struttura di personalità della vittima. Ma no, troppa fatica: un titolo e via. Un like e via. Avanti il prossimo.
Diploma di liceo classico, studi mai finiti di giurisprudenza, Tiziana Cantone aveva una storia con un uomo che adesso –altra semplificazione- è colpevole di tutto, l’ha plagiata (dice la madre). Può darsi gliel’abbia proposto, di sicuro l’hanno fatto insieme. Il gioco era quello: lei sceglieva i maschi e lui veniva pure sfottuto durante l’atto. I famosi video, l’anno scorso, finirono a due fratelli in Emilia Romagna, a un utente di Facebook e a un terzo uomo. Che non erano gli stessi con cui aveva fatto sesso, ma altri. Sconosciuti. Lei però non voleva andare, con loro, oltre questo gioco a distanza. Casualità, dopo un tot, il 25 aprile 2015, un primo video finisce su un sito porno. Seguiranno gli altri.
Ma questo non vuol dire che il web è la peste. E nemmeno che è colpa del web. Internet è uno spazio astratto, internet non c’è, non si vede, sono impulsi in un cavo del telefono, tralicci che ormai fanno parte del paesaggio. Internet non è né buono né cattivo. È come una pistola. Mettila in mano a un poliziotto ed è buona, mettila in mano a un assassino ed è cattiva. Ma la pistola è sempre la stessa. Lo stesso con i soldi: ci puoi fare beneficenza, ci puoi corrompere una città. Il web non ha istigato al suicidio nessuno. Sono le persone che usano il web, non il contrario. Siamo noi ad averne il pieno controllo. Chi fa di questi processi è puramente ignorante.
Ancora. Tiziana Cantone ha girato quei video in perfetta consapevolezza. Smettiamo di farne una martire. “Repubblica” parla delle “leggerezze di una bella e libera trentenne”, come a dire: era giusto si godesse la vita come le pare. E chi dice il contrario? Ma bisogna usare la testa. Io non ci sto. Massimo rispetto per la sua tragedia, intendiamoci. Ma sapeva cosa stava facendo: quei video li ha progettati, ha scelto gli uomini, li ha incontrati, ci ha fatto sesso sapendo che ci sarebbe stato un filmato. Poi non è chiaro se ha spedito lei o lui; ma quello che lei stessa afferma, nella prima denuncia alla magistratura, è che è stata consenziente alla spedizione. A uomini che hanno avuto la bella pensata di diffonderli: e questa è una porcheria, certo. Ma Tiziana aveva trent’anni e non era nata ieri. Aveva una consapevolezza del proprio corpo, l’aveva migliorato, s’era rifatta il seno. Oggi anche un ragazzino di quindici anni sa che quello che finisce sul web è come certe macchie sul tappeto: non va più via. E allora, vogliamo deciderci a dire che la Cantone è stata incredibilmente avventata, al limite ingenua, ma diciamo pure stupida a lasciare che circolassero e peraltro col suo viso chiaramente visibile? Davvero non sapeva che rischio avrebbe corso?
Quarto. La voglia di gogna. Fa schifo davvero. Premesso che vorrei sapere quanti di quelli che l’hanno presa in giro oltre ogni modo consumano porno e poi fanno i santarelli e i moralisti, è impressionante vedere quanta violenza verbale, quanta aggressività repressa c’è in giro. Non trovano parcheggio, litigano con la moglie, fanno un lavoro che gli fa schifo, non riescono ad andare in pensione, non bastano i soldi, vivono in questo mondo competitivo e si caricano di aggressività, in questa società dove se non appari non sei nessuno. E allora, dai! Via con la lapidazione o con il like di solidarietà da salotto per l’ennesima indignazione comoda, da casa, dove la faccia non ce la mette nessuno! Glielo faccio vedere io, a quelli! Sì, c’è una disperata voglia di mettere qualcuno, purché sia, appeso per i piedi in piazza. Facebook è lo sfogo a questa immensa milionata di frustrati che si sono divisi: una parte l’ha trattata da mignotta e l’altra parte ora vuole linciare quelli che hanno diffuso i video. Semplificando, ancora una volta, la storia. Ma a loro non interessa: basta il palo e la corda. Basta essere politicamente, violentemente corretti.
Io non so cosa abbia fatto sì che dei video amatoriali qualsiasi come quelli siano diventati virali. Non capisco in cosa fossero così speciali da causare tutto quello che hanno causato. Forse quella battuta di lei? Boh. Quello che so è che se si è uccisa è perché non aveva la struttura di personalità per gestire il casino che lei stessa aveva sventatamente creato. E so che, se sul web, ti metti a cercare, trovi ancora quel video di Pamela Anderson, quel video di Belen, quel video di Paris Hilton. Tra anni e anni, vedrete, sarà ancora in giro anche Tiziana Cantone. Chissà se, nel frattempo, avremo un’opinione pubblica più matura e un mondo dell’informazione meno semplicistico. Sinceramente, ne dubito.
di Fabio Sanvitale