E così, dopo dieci ore di camera di consiglio è arrivata la sentenza di primo grado nel processo contro Massimo Bossetti, unico imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio: ergastolo. Decisiva, in questa prima parte, la prova del Dna, che in questo lungo processo ha rappresentato la prova regina e allo stesso tempo la parte oscura di tutta questa vicenda. Due verità distinte e opposte. Ad oggi Massimo Bossetti viene condannato all’ergastolo, al risarcimento provvisionale di 400 mila euro a testa per i genitori di Yara e 150 mila euro per ciascun fratello della tredicenne uccisa nel 2010 e ritrovata nel campo di Chignolo d’Isola nel febbraio 2011. Inoltre al muratore di Mapello è stata tolta la potestà genitoriale relativa ai suoi tre figli e riconosciuto l’aggravante della crudeltà.
Come hanno commentato i protagonisti della vicenda? Bossetti, dopo essere rimasto impassibile al verdetto, ha successivamente dichiarato che “era come se gli fosse caduto un carro armato sulla testa. I genitori di Yara: “Ora sappiamo chi è stato, anche se nessuno ci riporterà indietro nostra figlia. Questa è e resta una tragedia per tutti”. Massimo Meroni, procuratore vicario di Bergamo:“Se una persona commette un omicidio senza circostanze attenuanti, questa è la pena. È normale che un imputato non confessi, ma la prova scientifica del Dna è stata decisiva”. Alla richiesta avanzata per ripetere l’esame del Dna, il procuratore si è mostrato contrario affermando che “Se ci fossero state ulteriori tracce l’esame si sarebbe ripetuto. Questo non è stato possibile perché le tracce erano scarsissime e difficilmente il Dna è così abbondante da consentire ulteriori estrazioni dopo la prima volta”.
È proprio su questo punto che hanno replicato Salvagni e Camporini, difensori di Bossetti. Amareggiati per la sentenza, non solo hanno sottolineato nuovamente come le quarantacinque udienze non hanno prodotto nessuna prova certa a carico dell’imputato sottoposto ad un processo indiziario in cui gli indizi non sono né precisi né concordanti, ma soprattutto hanno invitato a non sottovalutare l’impossibilità a ripetere l’esame del Dna perché la Cassazione, che su questi temi è determinante e decisa, non perdona l’assenza di ulteriori tracce per successivi accertamenti: “Fino alla nausea hanno ripetuto che la quantità del Dna era tanta. Perciò se era tanta e l’hanno consumata in maniera improvvida si vedrà cosa succederà”. I legali poi, oltre ad aver ricordato che questa non è la sentenza definitiva, hanno concluso sostenendo che prenderanno sicuramente atto delle motivazioni che verranno fornite dalla Corte, per poi lavorare all’appello.
di Livia Ciatti