Yara Gambirasio: come la difesa ha concluso la sua arringa.

Si è svolta ieri la seconda ed ultima parte dell’arringa difensiva di Massimo Bossetti (la prima l’avevamo raccontata qui), unico imputato nell’omicidio di Yara Gambirasio. Ancora una volta i legali Camporini e Salvagni hanno chiesto a gran voce l’assoluzione del muratore di Mapello sostenendo che contro di lui non vi è nessuna prova grave e precisa. Secondo i difensori, infatti, i dubbi e le incertezze sono tante e per condannare una persona, ricorda Camporini, non si può agire per esclusione ma servono certezze precise e prove non inquinate. Proprio per questo motivo i legali hanno attaccato quella che seconda l’accusa è considerata la prova regina: il Dna. La difesa ha parlato di contaminazione, di natura non precisata, della traccia di Dna e anomalie evidenti come la non corrispondenza tra il Dna mitocondriale e quello nucleare. Inoltre, hanno sottolineato Camporini e Salvagni, l’utilizzo di kit scaduti e procedure non certificate hanno confermato ulteriormente la mancanza di prove certe indispensabili per condannare una persona.

E ancora la difesa ha continuato nel ricordare l’assenza di testimoni: nessuno ha visto la ragazza salire sul furgone di Bossetti, nessuno ha visto l’imputato uccidere la tredicenne, nessuno ha visto il mezzo dell’imputato e nessuno li ha visti insieme. Non sono state ritrovate tracce di sangue sul furgone del muratore e, sempre secondo la difesa, la ragazza non fu uccisa nel campo di Chignolo d’Isola ma in un altro posto: i vestiti di Yara non erano sporchi di fango, nelle ferite non sono state trovate tracce di erba ed è possibile, come ha sostenuto anche l’anatomopatologa Cattaneo, che il corpo della giovane sia stato avvolto in un telo e poi abbandonato nel campo. Le fibre ritrovate su Yara, inoltre, che secondo l’accusa sarebbero frammenti del tessuto del furgone di Bossetti, sono identiche, sottolinea invece la difesa, a quelle di altri 150 mila furgoni, pertanto l’Avv. Camporini ribadisce l’importanza e la necessità non di avere delle somiglianze ma delle certezze, che per il legale sono assenti, che siano fibre del furgone dell’imputato.

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Attraverso le lettere alla detenuta Gina, ha ricordato Camporini, c’ è stata una volontà, da parte dell’accusa, di “sottolineare solo l’aspetto pruriginoso per far passare l’idea di un predatore sessuale”, senza fare luce su molto altro che vi era scritto in quelle corrispondenze, come per esempio il dolore e la stanchezza di Massimo Bossetti nel vivere questa solitudine lontano anche dall’affetto dei figli. I difensori hanno nuovamente rimarcato, come successo nella prima parte dell’arringa difensiva, il fatto che il processo e le indagini siano state “un’aggressione mediatica in cui l’arrestato viene dato in pasto al pubblico con lo scopo di trovare non il colpevole ma un colpevole”.

Proprio per questo motivo i legali, che hanno chiesto l’assoluzione di Bossetti per non aver commesso il fatto, rivolgendosi direttamente all’imputato in aula, lo hanno incoraggiato nel non farsi vincere dallo sconforto e in nome della sua innocenza di non cedere e non confessare qualcosa che non ha fatto. La sentenza di primo grado è prevista per il primo luglio, dopo aver dato spazio ad eventuali repliche e aver sentito lo stesso imputato nella prossima udienza, che si terrà il 17 giugno.

di  Livia Ciatti