Ancora un mese e la lunga guerra processuale tra il Pm Letizia Ruggeri e i difensori di Massimo Bossetti, unico imputato dal 2014 per l’omicidio di Yara Gambirasio, si concluderà. Dopo anni di accuratissime indagini tecniche e genetiche e innumerevoli interrogatori, si attende la sentenza finale per metà giugno. Sono servite circa tredici ore di requisitoria da parte dell’accusa per esporre in maniera dettagliata i punti salienti dell’efferato omicidio, al termine della quale la richiesta del Pm è stata di ergastolo con sei mesi di isolamento diurno per il muratore di Mapello, accusato di omicidio volontario pluriaggravato e calunnia nei confronti dell’ex collega Giuseppe Maggioni.
Ma ripercorriamo insieme i capi di imputazione che, secondo il Pubblico Ministero Letizia Ruggeri, incastrerebbero Bossetti: prima fra tutte la compatibilità fra le tracce del Dna nucleare ritrovato sui leggings e sugli slip della tredicenne con quello dell’imputato. In merito all’argomento del Dna è necessario ricordare che si aprì uno scenario infinito di confusione e polemiche tra quello Mitocondriale (ritenuto insufficiente ad identificare una persona accertando solo la linea materna) e quello Nucleare (scientificamente valido per un’identificazione precisa) conclusosi con la conferma, da parte di inquirenti e tecnici, che per ottenere risposte certe era necessario prendere in considerazione il secondo perché più specifico e al pari di un’impronta digitale.
Secondo capo d’accusa: il Furgone. Il mezzo, ripreso da cinque telecamere della zona, si aggirava da un’ora, facendo avanti e indietro, nei pressi della palestra dove la giovane ragazza si allenava. Dopo la scomparsa di Yara anche il furgone fece perdere le sue tracce. I cinque fotogrammi montati dai carabinieri, ritenuti dal difensore Salvagni responsabili di aver mandato in giro un video tarocco con sagome ed immagini non definibili, sono invece negli atti del processo dove si attesta che il veicolo ripreso coincide con quello di Bossetti: stesso passo tra i due semiassi (concetto ribadito dal Pm Ruggeri che ha smontato la difesa accusandola di “approssimazione delle misurazioni del consulente e mancanza di prospettiva”), stessa chiazza di ruggine sul cassone, serbatoio più grande del normale come quello fatto montare dal muratore e quindi di conseguenza una non sola e pura coincidenza tra il viavai del mezzo nello stesso luogo e orario della scomparsa di Yara.
Poi il discorso delle celle telefoniche: il telefono di Bossetti rimase in silenzio dalle 17.45 del 26 novembre 2010 fino alle 7.30 della mattina successiva. Il depistaggio con la calunnia a Maggioni nel tentativo di farla franca. L’accusa inoltre ha sottolineato che non vi fu un movente preciso (ma non per questo certamente poco significativo) ma si è trattato di “un’incapacità di controllo dei suoi istinti” nei confronti delle donne. Si descrive poi la crudeltà e l’accanimento inflitto sulla vittima, salita sul furgone o perché tesa in inganno o perché tramortita, che si è tragicamente spenta nel campo di Chignolo d’Isola a causa di ipotermia, profonde lesioni e sevizie su tutto il corpo.
Un mese e si saprà cosa il Giudice stabilirà, se la compatibilità del Dna nucleare, considerata dall’accusa come la prova regina, sarà sufficiente affinché nei confronti del “Favola” (soprannome che da sempre i colleghi attribuivano a Bossetti per le innumerevoli e smisurate menzogne che era solito raccontare) potrà essere emanata una sentenza di colpevolezza.
di Livia Ciatti