E’ la domanda che ci stiamo facendo in queste ore. Scusate, ma non torna. Non torna proprio. No, in questa sporca storia c’è ancora da capire non solo se ci sono altre responsabilità, ma anche la dinamica dei fatti. Dinamica che, dal punto di vista del processo, andrà a cristallizzarsi mercoledì e giovedì della prossima settimana, quando ci sarà un momento fondamentale: l’incidente probatorio delle tre figlie della Fabozzi, chiesto dalla Procura (dovranno deporre di nuovo le cose che hanno già detto, ma stavolta la loro testimonianza avrà valore di prova, come se fossero già al processo; questo eviterà sia cambiamenti di deposizione che deformazioni di memoria). Testimonianze che, a tutt’oggi, al di là dell’ottimo lavoro della Procura di Napoli, presentano diverse contraddizioni, cose non chiare.
Seguiteci: secondo le dichiarazioni di Giulia (il nome di fantasia che abbiamo dato alla figlia di Marianna Fabozzi), quel giorno di giugno Chicca sale al settimo piano, cioè a casa loro, sta un po’ lì, si lamenta che una scarpa le fa male e dice che scende a cambiarsela. Nessun dubbio su questo: le scarpine erano nuove e se le era messe per la prima volta due giorni prima, per una festa di famiglia. Giulia, qui, dice ai giudici che è questo il momento in cui Raimondo Caputo avrebbe seguito Chicca e portata di sopra, all’ottavo, per violentarla ancora. Poi il rifiuto della bambina; e il lancio nel vuoto. D’accordo, ma perché portarla all’ottavo per violentarla? In tutte le occasioni precedenti Caputo, stando alle dichiarazioni di Giulia e di sua sorella, aveva praticato le violenze sia su Chicca che su di loro tranquillamente dentro casa e tranquillamente davanti alle sorelline ed alla Fabozzi. Quel giorno invece, avrebbe scelto di portarla di sopra, all’ottavo. Esponendosi a fare le scale con una bambina che poteva opporre resistenza o gridare in maniera visibile, esponendosi a passare esattamente davanti casa di Rachele, la mamma di Claudio Luongo (uno degli ex compagni di Mimma, la mamma di Chicca).
Rachele, che va ripetendo da due anni che lei, alle 11,30 di quella mattina, se ne stava seduta a prendere il fresco, bello bello sul pianerottolo, che non ha visto nessuno e tanto meno ha mai raccolto la scarpina di Chicca, quella che voleva togliersi, quella non portava al piede quando atterrò sul selciato. Quella che, in un’intercettazione, dice invece di aver trovato e buttato per non avere guai; o per non farli passare a suo figlio, all’epoca ai domiciliari.
E dunque: Chicca si toglie e lascia la scarpina all’ottavo. La bambina da quel pianerottolo c’è passata, nonostante quello (anzi, proprio per quello) che dice Rachele. Ma questo è il punto. Perché Caputo s’è accollato il rischio di passare letteralmente davanti casa della donna, di farsi vedere, specie se stava a prendere il fresco sul pianerottolo come dice lei, se teneva la porta di casa aperta, come dice lei? Che bisogno aveva di compiere l’ultima violenza sul terrazzo, se aveva casa a disposizione? E ancora: come faceva a sapere che la porta d’accesso al terrazzo, che sta lì a qualche metro, sarebbe stata aperta? Porta che quella mattina (lo riferisce un teste) era aperta: verosimilmente, diciamo noi, perché sul terrazzo ci metteva la bici proprio Claudio Luongo e quella mattina era uscito in bicicletta, probabilmente senza richiudere il lucchetto.
E infine, come abbiamo già detto: perché, stando alla testimonianza di Giulia, sua mamma (cioè la Fabozzi), insieme a lei, sarebbe salita all’ottavo, cioè avrebbe seguito Caputo? Qual è il suo ruolo? Perché si portava dietro la figlia? Tutto questo traffico di adulti e bambini poteva davvero pensare di passare inosservato o all’ottavo c’era qualcosa, qualcuno, quella mattina?
Ma la storia potrebbe essere anche completamente diversa. La criminologa Roberta Bruzzone (nominata consulente dall’avvocato Angelo Pisani, legale della famiglia di Chicca), dopo essere stata a Caivano e aver analizzato le carte, ha avanzato dei dubbi circa le dinamiche del fatto: “Non sono così convinta che Fortuna sia precipitata dall’ottavo piano – ci racconta – Non aveva alcun motivo per salire lì, non lo faceva mai. Inoltre, i segni sul suo corpo, o meglio, l’assenza di lesioni e graffi, in particolare sul viso della bambina, potrebbero aprire scenari completamente diversi. A mio avviso Chicca potrebbe essere precipitata da un’altezza inferiore, diciamo intorno ai 10 metri, compatibile con un terzo piano per intenderci…” Un terzo piano che non può non far pensare all’uomo che per primo aveva soccorso Chicca, che abitava proprio al terzo piano e che, pochi mesi dopo, era stato arrestato insieme alla moglie per aver violentato la figlia dodicenne. Una coincidenza probabilmente, una suggestione, come ce ne sono tante in questa vicenda. E comunque se quell’uomo la mattina del 24 giugno 2014 era in strada, pronto a soccorrere Chicca, non poteva essere contemporaneamente in casa, quindi questo esclude un suo coinvolgimento attivo nella morte della bimba.
Ma torniamo ai dubbi della dottoressa Bruzzone. Chicca, dunque, potrebbe essere caduta da un’altezza diversa, ma c’è un modo per poterlo dimostrare? “Se verrà riesumato il cadavere del piccolo Antonio (un altro figlio della Fabozzi, precipitato un anno prima di Chicca dal settimo piano dello stesso palazzo, ndr), sarà possibile confrontare i due corpi e capire se l’altezza da cui sono precipitati è simile o meno. In caso di risposta negativa, la tesi di un’altezza inferiore per la precipitazione di Chicca troverebbe un’importante conferma“.
Anche questa ipotesi, ovviamente, implica il coinvolgimento di altre persone: “Penso proprio che Caputo non abbia agito da solo. Speriamo che in corso di incidente probatorio vengano fuori elementi utili per chiarire i buchi neri di questa vicenda fatta di silenzi, di omertà e di complicità ancora tutte da chiarire” conclude la Bruzzone.
Non possiamo che essere d’accordo. Più i giorni passano, più le poche certezze che c’erano vacillano e più ci si rende conto che la morte di Fortuna Loffredo è circondata da misteri ben lungi dall’essere chiariti.
di Fabio Sanvitale e Valentina Magrin