Il caso Fortuna Loffredo: 3 misteri ancora da chiarire
Questa storia inizia in un giorno di giugno, quando non ti aspetti che dietro il caldo di un’estate già arrivata si apra il baratro ghiacciato di una storia mai sentita. Perché a raccontarla, la storia di Chicca e delle sorelline G. lascia senza parole. Non ci si crede, che su questo pianeta possa esistere un palazzo come l’isolato 3 del Parco Verde di Caivano. Eppure, esiste. Ne parleremo tra poco. Intanto, l’atto d’accusa contro Raimondo Caputo (in carcere dal 17 novembre 2015 per violenza su una delle figlie della sua convivente, ed oggi accusato anche di violenza e omicidio su Fortuna Loffredo) ha finalmente dato un volto e un nome a questa bruttissima storia in cui ci sono ancora 3 misteri da chiarire. Questi:
- La ricostruzione di quello che succede dopo l’uscita di Chicca dalla casa dell’amichetta, che era andata a trovare al settimo piano, interno 27, non è chiara. Per i giudici sì: Chicca, uscendo per andare a togliersi le scarpe a casa sua, al sesto (viveva con la madre Domenica Guardato e i nonni, all’ interno 24), viene seguita da Caputo, che la costringe ad andare con lui sul terrazzo sopra l’ottavo piano. Qui cerca di abusarne ancora, lei si ribella (infatti non ci sono segni di congiungimento recente). Lui la butta di sotto (dal terrazzo: l’avevamo già individuato QUI) come un sacco di patate, prendendola in braccio e lanciandola (nessun segno di colluttazione su Chicca), come una cosa inutile. Questa ricostruzione si basa sulla perizia medico-legale e sulla testimonianza oculare dell’amichetta Giulia (nome di fantasia), che però ha le sue contraddizioni. Dice Giulia al giudice: “Chicca è venuta a casa mia, io stavo lavando per terra. Mi ha detto vuoi giocare? Io ho detto no, sto aiutando mamma a fare i servizi. Poi lei giocava con le mie sorelle. Ha giocato a ballare, giocavano nella cucina. Mamma (Marianna Fabozzi) faceva la cucina e io lavavo per terra nella stanzetta. Si è seduta sul divano e ha detto: a me mi fanno male le scarpe (Giulia precisa che c’erano anche sua sorella R. e Raimondo Caputo, in casa). Ha detto: mi cambio le scarpe e salgo. E’ uscita con Caputo Raimondo, sono andati su. Anche la mamma li ha visti. Finiamo di lavare per terra e poi chiedo a mamma di andare a prendere a Chicca”. Alt. Va bene, ma che senso aveva scendere a prendere Chicca dentro il palazzo, che tanto sarebbe risalita da sola? E infatti, successivamente, Giulia depone il contrario: che sono salite di sopra, sul terrazzo, tanto da aver assistito al delitto. Ok, ma anche questo che senso ha? Perché seguire –comunque- Chicca e Raimondo? Manca un pezzo, qualcosa che Giulia ancora non ha detto. Madre e figlia non potevano non aver capito cosa stava per accadere: l’ennesima violenza. Perché non pensare, allora, che la Fabozzi portasse a Caputo anche la figlia, come minimo per costringerla a guardare? Ognuna delle sorelline ha raccontato che le violenze, spesso, avvenivano anche di fronte alle altre… Qual è il ruolo della Fabozzi, nel giorno del delitto?
- Uno dei cardini dell’accusa è nella minacciosa confessione fatta da Caputo a Giulia durante una delle tante violenze: “Ho ucciso io Chicca!” Che più che un’affermazione era chiaramente la promessa che le sarebbe successa la stessa cosa, se non lo avesse lasciato fare ancora. Ma la domanda che fa parlare Giulia della confessione di Raimondo è chiaramente suggestiva e si presterà all’attacco della difesa di Caputo. Dice il PM: “è mai successo che ti abbia detto che era stato lui?”. Posta così la domanda, che risposta volete che ci fosse?
- 3. Qual è la figura femminile minacciosa che emerge dai disegni di Chicca? Dalla perizia Cordella emerge una donna senza nome. Chi è? Che ruolo ha in questa storia?
Sappiamo dall’autopsia che non c’erano state congiunzioni recenti, quindi era da un po’ che non succedeva e Caputo quel giorno forse desiderava Chicca ancora di più. D’altronde, era cosa sua. Caputo – secondo il racconto che ne fa l’accusa- non sapeva trattenersi, come non saprà farlo in seguito: anche dopo la morte di Chicca continuerà a violentare le tre figlie della sua compagna, che ora hanno 10, 5 e 4 anni. Giulia ha sempre vissuto dalla nonna e gli zii, all’ interno 27. Le altre due invece stavano con la madre e Caputo, che convivevano da 4 anni in via Santa Barbara 103, Caivano. Tre bambine costrette a subire l’incontrollabile violenza, secondo l’accusa, di Caputo che, quando non le costringeva a fare sesso, trovava ogni scusa per toccarle. Fino al 24 settembre 2015 (Fortuna muore il 24 giugno 2014), quando venivano portate via, in comunità. Ma, da quando le bambine sono arrivate in questo spazio sicuro, ci sono state telefonate anonime, verso le 20, e citofonate, altrettanto anonime: non era mai successo prima. Chi ha provato ad intimidire la comunità e le bambine?
Chi ci ha provato, sapeva che motivi per evitare che le sorelline parlassero ce n’erano. Certo, ognuna ha reagito in modo diverso a questa storia: chi continua a restare spaventata, chi la gestisce meglio, chi s’è creata un mondo ideale dove rifugiarsi. Una disegna Caputo a forma di pene: oggi sappiamo perché. Ma per capire cosa è successo quel giorno il vero perno è Giulia. Giulia è stata molto, molto condizionata dal contesto familiare. Hanno insistito in tutti i modi. La Fabozzi e Caputo, intercettati, la rimproverano molto per aver parlato subito, cercano di farle dire che Chicca non era mai entrata da loro, quel giorno. Macché, un attimo sulla porta e via. Poi si aggiunge a premere anche la sorella della mamma, Filomena Fabozzi. Poi si aggiungerà anche la nonna (la Angelino le ripete che non deve cambiare troppe parole, che deve andare veloce, così ce li togliamo dal cazzo). Ma la smentita di altri inquilini convince sempre di più carabinieri e giudici che è in quella casa che bisogna guardare.
di Fabio Sanvitale