Trent’anni sono un tempo lunghissimo. In trent’anni ci si può dimenticare di tutto, in trent’anni si può pensare di averla fatta franca. Ma non è sempre così. L’arresto di oggi ne è la dimostrazione. Stefano Binda, un 48enne laureato in Filosofia e senza impiego fisso, è stato arrestato per l’omicidio di una sua compagna di classe delle scuole superiori, avvenuto il 9 gennaio 1987. La ragazza in questione si chiamava Lidia Macchi, e per gli appassionati di cronaca nera il suo nome non è nuovo.
Lidia Macchi, 23 anni, era stata trovata morta, trafitta da ben 29 coltellate, il 7 gennaio 1987 nel bosco di Sass Pinì (Varese). Lidia era una ragazza seria, studiosa, attiva e molto religiosa. Studiava Giurisprudenza e sognava di diventare un magistrato. Faceva parte di Comunione e Liberazione, proprio come Stefano Binda. Il giorno della sua scomparsa, il 5 gennaio 1987, era rientrata a Varese da un viaggio ad Assisi con alcuni membri del movimento. Verso le 19 aveva chiesto in prestito la macchina al padre per recarsi all’ospedale di Cittiglio, sempre nel varesotto, a trovare una sua amica lì ricoverata. Aveva promesso ai genitori che sarebbe tornata per cena, ma a casa la attenderanno invano.
Due giorni dopo, il 7 gennaio, il suo corpo sarà ritrovato a poche centinaia di metri dall’ospedale, nel bosco di Sass Pinì. Verranno interrogati gli amici e i conoscenti di Lidia. Verrà indagato un prete che la ragazza frequentava all’interno di Comunione e Liberazione, che per anni sarà il sospettato numero uno, ma senza mai una prova concreta di un suo coinvolgimento nel delitto. Il DNA ritrovato sul corpo della ragazza sarà addirittura spedito a Londra, in quanto all’epoca in Italia non erano ancora possibili certe analisi. Anche in questo caso gli esami non porteranno alcun esito, poiché la traccia di liquido seminale verrà persa.
Poi, nel 2013, le indagini si riaprono col sospetto che l’assassino di Lidia Macchi sia Giuseppe Piccolomo, un uomo violento, accusato dalle stesse figlie di aver ucciso la moglie e colpevole dell’omicidio di Carla Molinari, avvenuto il 5 dicembre 2009 (il cosiddetto “delitto delle mani mozzate”). Piccolomo, a detta delle figlie, si vantava di aver ucciso anche Lidia. Ma anche in questo caso, il sospetto non si è mai concretizzato fino in fondo.
Ma cos’è che ha convinto gli inquirenti, quindi, ad arrestare dopo tutto questo tempo Stefano Binda, accusandolo di omicidio volontario? Binda, secondo gli inquirenti, sarebbe stato una specie di fanatico religioso, e avrebbe colpito Lidia per punirla perché convinto che la ragazza si fosse “concessa”, venendo meno ai principi della religione cristiana. Il giorno dei funerali di Lidia Macchi, una lettera anonima era giunta a casa dei suoi genitori. La lettera aveva un contenuto a dir poco inquietante e chiari riferimenti all’omicidio. Ebbene, una perizia calligrafica ha ora dimostrato che la lettera è stata scritta proprio da Stefano Binda. E dunque, si devono essere chiesti gli inquirenti, chi se non l’assassino può esserne l’autore?
Riportiamo il contenuto delirante della missiva, intitolata dallo stesso autore: “In morte di un’amica”:
La morte urla
contro il suo destino.
Grida di orrore
per essere morte:
orrenda cesura,
strazio di carni.
La morte grida
e grida
l’uomo della croce.
Rifiuto,
il grande rifiuto.
La lotta
la guerra di sempre.
E la madre,
la tenera madre
coi fratelli in pianto.
Perché io.
Perché tu.
Perché, in questa notte di gelo,
che le stelle son così belle,
il corpo offeso,
velo di tempio strappato,
giace.
Ma la tetra signora
grida alte
le sue ragioni.
Consumatum est.
Questo lo scotto
dell’antichissimo errore.
E tu
agnello senza macchia.
E tu
agnello purificato
che pieghi il capo
timoroso e docile,
agnello sacrificale,
che nulla strepiti,
non un lamento.
Eppure un suono,
persiste nella brezza
ristoro alle nostre
aride valli
in questa notte di pianti.
Nel nome di Lui,
di Colui che ci ha preceduto.
Crocifissa,
sospesa a due travi.
Nel nome del Padre,
sia la tua volontà.
Si tratta ovviamente di un punto di partenza. Attendiamo fiduciosi ulteriori riscontri dalla Procura. Ma dopo tutti questi anni, la verità sull’omicidio di Lidia Macchi sembra davvero più vicina.
di Valentina Magrin