Non sono bastati 40 anni d’attesa per spegnere il bisogno di verità sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Ecco perché l’avvocato Stefano Maccioni s’è fatto promotore della raccolta firme (siamo già a oltre 10.000) per istituire una commissione d’inchiesta parlamentare sulla morte dello scrittore. Perché di cose non chiarite ce ne sono, eccome. Le indagini sul dna che hanno fatto parte della terza inchiesta (riaperta proprio grazie al lavoro di Maccioni e Simona Ruffini e culminata in un libro, “Nessuna pietà per Pasolini”, scritto con Valter Rizzo) hanno tuttavia messo qualche punto fermo:
- le tracce di Ignoti sono cinque. E precisamente: sugli slip di Pasolini. Nella parte anteriore dei jeans, all’interno. Sulla maglia a maniche lunghe del poeta. Sul plantare. Su una busta da lettera.
- c’erano dunque cinque aggressori? Calma. Le tracce sulla busta verosimilmente sono state lasciate da chi la chiuse leccandola. E potrebbe essere successo anche ben prima di quella notte, che poi è lo stesso problema che vale per tutte le altre tracce. Il dna d’altronde non esprime una datazione precisa, non è il lavoro suo.
- il dna sul famoso plantare non è di Johnny Mastini. Checché se ne continui a scrivere e supporre, ricicciando questo argomento così suggestivo. E’ stato fatto il confronto con un mozzicone di sigaretta fumato da lui: negativo.
- sono stati fatti altri 30 confronti con altrettanti sospettati. Niente. Il dna è restato muto.
- non è stato possibile stabilire, visto che le tracce erano troppo datate, se si trattasse di sangue, sudore o saliva o sperma.
- esaminate anche le macchie misteriose sui due fazzoletti a righe azzurre e marroni ritrovati sulla scena del crimine. Le macchie non sono di origine biologica.
E qui si chiude un pezzo del discorso. Escono di scena i fazzoletti e Mastini, resta ignoto il numero degli aggressori. Ma queste indagini sono di qualche mese fa (ne avevamo parlato qui e qui) e si chiusero il 25 maggio 2015 nell’impossibilità, per il Gip Maria Agrimi, di determinare l’identità degli altri, assai probabili, aggressori.
E ora? “Ecco a cosa serve una commissione parlamentare” spiega Maccioni. A cosa? “A spiegare le cose che non tornano. Io credo che dietro la morte di Pasolini ci sia altro. Credo che ci siano collegamenti con certi fatti importanti di quegli anni e che l’unico modo per capire i fatti è collegarli tra loro“. La morte di Mauro De Mauro a Palermo (il giornalista che per conto di Francesco Rosi aveva ricostruito gli ultimi giorni di Enrico Mattei), quei viaggi di Pasolini pieni di domande fatte ai giovani neofascisti catanesi, le sue ricerche sull’Eni e sulla morte di Mattei. E’ tra questi elementi che si nasconde la verità sulla sua morte o è tutto molto più semplice? “La vicenda Mastini ha di fatto depistato un po’ tutti“, dice Maccioni. Ora sulla richiesta di una commissione si stanno battendo Paolo Bolognesi e la deputata Serena Pellegrino. Dovrebbe essere monocamerale, per accelerare i tempi. Anche se, dopo tanto tempo, diventa sempre più difficile capire come andarono i fatti, nel buio di quella notte di novembre di quarant’anni fa.
di Fabio Sanvitale