Perché gli investigatori privati dovrebbero lavorare senza licenza? L’idea è intrigante. E’ da molto tempo che si discute di liberalizzare ed abbiamo assistito ad una serie di interventi politici volti ad introdurre normative in merito, teoricamente in armonia con i principi e le direttive comunitarie. La professione dell’investigatore sta cambiando velocemente: vediamo come.
Da quando è arrivata la Legge 14 gennaio 2013, n. 4 si è determinato uno scenario rivoluzionario e fortemente sottovalutato, secondo l’opinione della Associazione Professionale Investigazioni e Sicurezza (A.P.I.S.).
La nostra convinzione è che la professione dell’investigatore privato debba essere liberalizzata, cioè svincolata dal possesso della licenza/autorizzazione prefettizia che – alla fine – comporta solo vincoli ed oneri e non concede alcun concreto vantaggio ai loro possessori. Perché – per esempio – un’agenzia deve versare una cauzione di 20 mila euro, che deve essere integrata di 5 mila euro per ogni tipologia di servizio autorizzato e di 10 mila per ogni sede secondaria? Non si capisce nemmeno la ragione di tenere un “registro degli affari” in cui elencare i propri clienti e cose del genere. Per contro, l’investigatore privato non ha neppure l’accesso alle banche dati che sarebbero fondamentali per compiere qualsiasi indagine, il che lo obbliga, quasi sempre, ad operare ai limiti della legalità.
D’altro canto, le associazioni professionali sono già delegate a vigilare sui professionisti aderenti e fungono già anche da garanti nei riguardi dei consumatori. Le PREFETTURE (U.T.G.) hanno già perso – di fatto – la loro funzione di patrocinatori degli interessi dello Stato e/o del cittadino e sono solo un’inutile ingombro, assieme alle obsolete licenze, per l’esercizio della professione. E questo manda in qualche modo in pensione le associazioni di categoria, tra l’indifferenza generale. I nuovi sodalizi diventano un punto di riferimento per il controllo, la formazione e l’aggiornamento dei loro iscritti/tesserati: hanno il compito di valorizzare le competenze dei professionisti aderenti e obbligarli ad osservare il codice del consumo e uniformarsi alle direttive dell’UNI (Ente Italiano di Normazione) che sta mettendo a punto una norma relativa alla professione dell’investigatore privato, un tavolo a cui partecipa anche l’APIS.
Un’altra novità arriva da una battaglia importantissima che è stata vinta sul fronte della possibilità di svolgere la professione presso il proprio domicilio, cosa che prima categoricamente era esclusa, evitando – così – all’investigatore di sostenere i costi esosi per il mantenimento di un ufficio. Questo provvedimento è stato introdotto nelle revisioni recenti apportate al D.M. 269/’10 grazie alle pressioni da sempre esercitate dall’APIS.
Ultima ma non ultima questione è quella di inserire gli investigatori privati nel “database” delle professioni regolamentate, consentendo – così – alla categoria di poter svolgere, anche solo temporaneamente, la propria attività nei Paesi della U.E. Non è poco. E’ sempre più consueto – infatti – che un cliente abbia interesse di acquisire informazioni fuori dai confini nazionali. Saranno tutte queste cose a portare l’investigazione privata italiana nel futuro.
di Alessandro CASCIO
Segretario Nazionale APIS
Procuratore Demetra Group
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