Entrano in scena le celle telefoniche e ne sentiamo puntualmente di tutti i colori: da parte di giudici, investigatori e anche dai nostri colleghi. In realtà il discorso delle intercettazioni telefoniche, delle celle, crea sempre molte aspettative: come le telecamere, come il dna. Ma c’è molta confusione su come funzionino davvero: leggiamo cose da rabbrividire nelle sentenze e nei rinvii a giudizio… Per chiarirci le idee, ecco che noi di CN abbiamo intervistato Alessandro Comi, ingegnere delle telecomunicazioni che la sa davvero lunga ed ha affrontato processi importanti.
Alessandro, in genere si crede che sia sempre possibile risalire al traffico telefonico fatto da qualcuno. E’ così? “No. Il gestore conserva il traffico solo per motivi di fatturazione, non in eterno. I dati su sms e voce li tiene per due anni, quelli sul traffico dati per uno, le chiamate senza risposta per 30 giorni. E c’è di più: il momento in cui il cellulare è spento, quando viene posto su off insomma, non è proprio registrato. D’altronde, a che servirebbe conservarlo, al gestore? Mentre quello di accensione viene sovrascritto ad ogni accensione successiva“. Quindi, quando ci dicono che è possibile sapere a che ora è stato spento un cellulare dicono balle: semmai possiamo dire qual’è l’ora a cui si è connesso per l’ultima volta, che è diverso!
Veniamo alle antenne. Quando mi collego ad una data antenna vuol dire che si sa dove sono, giusto? “Anche stavolta devo dirti di no. Prendiamo il caso di Yara. Se qualcuno si collega con l’antenna di via Natta non vuol dire che sia in via Natta. Per due motivi. Il primo è l’antenna copre un’area di circa 10-15 km intorno a sè, a 360°, un’area peraltro irregolare, che si disegna scolasticamente come un esagono perfetto, ma che non lo è mai! Anzi, va misurata e verificata ogni volta, per sapere fin dove copre effettivamente, perché nemmeno il gestore ne conosce la forma reale: cambia ogni giorno. Il secondo è che dire antenna è improprio: si tratta di un palo sul quale, di antenne, ne sono montate tre. E prendono il nome di BTS. Ogni BTS copre un’area di 180°, quindi dire che qualcuno era collegato con il palo di via Natta non vuol dir nulla: a quale delle tre BTS di quel palo era collegato? Perchè cambia tutto, ovvio…”. Quindi se so a quale BTS si è agganciato il nostro uomo, è fatta. “Mica tanto. Devo capire fin dove copre, che inclinazione ha la BTS, che direzione d’irradiamento. Ti sembrerà assurdo, ma spesso quando gli avvocati richiedono i tabulati ai gestori non chiedono queste cose. E ottengono risposte standard, vaghe, che in Assise servono a poco. Non sanno cosa possono chiedere, insomma. E cosa dovrebbero chiedere”.
Alessandro, allora questo vuol dire che l’unico modo per sapere precisamente dove si trova qualcuno non è a posteriori… “Esatto. A posteriori lo sappiamo grosso modo. Per saperlo con precisione non dobbiamo certo leggere i tabulati, ma agire preventivamente. Triangolando tre pali tra loro possiamo seguire un cellulare con un’approssimazione di decine di metri, addirittura. Ma è un’altra cosa e va previsto prima”.
Alessandro Comi non lo dice, ma lo aggiungiamo noi: in tutto questo è chiaro che un conto è la posizione della BTS, un conto quella dell’utente e un altro quella del cellulare, che potrebbe ovviamente non essere con l’utente, no? Ma la questione dei tabulati è ancora più sfumata. Sentite qua. “Allora, ogni BTS gestisce un tot di comunicazioni contemporaneamente. Poi va in saturazione. A questo punto, o perché in un punto magari due BTS si sovrappongono, o perché c’è un guasto o un momento di bassa potenza, passa la chiamata ad un altro palo ed un’altra BTS. Quindi, non bisogna cercare solo la BTS cui eravamo presumibilmente collegati, ma vedere anche quali erano le altre cui ci si poteva potenzialmente collegare!”.
Come casino non è male, non c’è che dire. Come vedete, le famose celle telefoniche dicono molto meno di quello che noi vorremmo fargli dire. Ecco perchè spesso servono più alla difesa che all’accusa. “Ne ho viste e vedo di tutti i colori. Spesso il Pm guarda solo qual’è il traliccio più vicino, non la direzione d’irradiamento o la BTS. Nè qual’è la copertura reale dell’area, che magari esclude il punto dove si trovava l’indagato. E non è tutto! Perché se vado sul posto – mi è successo – scopro che magari, anche se l’indagato si trovava in un’area di copertura, nella stanza dove asseriva di essere, il suo gestore non prendeva e in un’altra invece sì. Ma nessuno aveva verificato”, conclude Alessandro.
Sarebbe bello se tutti sapessero tutte queste cose. Invece spesso accusa, difesa e noi giornalisti proponiamo la versione semplificata di questo discorso. Sul quale sempre di più si giocano, in Assise, sentenze di assoluzione o di colpevolezza.
di Fabio Sanvitale
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