Il futuro è qui: adesso il computer sa prevedere il crimine

Sì, si può:  si può prevedere il crimine. Con dei software che dicono quali aree della città sono più a rischio, di quali reati, e dove colpirà prossimamente un rapinatore o uno stupratore. In diversi paesi del mondo sono stati creati dei programmi, in Italia ne abbiamo addirittura due: il Key Crime sviluppato a Milano e l’eSecurity, nato a Trento. Sono loro il futuro della lotta alla criminalità? Criminologia, informatica, statistica, geografia sociale, si fondono per dare alla polizia ed alle indagini convenzionali un’arma in più.

real time crime center

 

 

 

 

 

 

All’estero ci sono diverse esperienze di questo tipo:  ad esempio quella americana, dove è stato sviluppato PredPol, software che studia luogo, orario e tipo di crimini commessi (quindi nessun dato personale)  per individuare le zone della città più a rischio di reati, quelle da sorvegliare meglio. Funziona: a  Foothill (una zona di Los Angeles) i reati si riducono del 14%,  ad Atlanta del 19%, a Santa Cruz (i dati sono sempre 2014 su 2013) scendono del 29%. A Memphis hanno testato invece Crush, un software dell’Ibm, che mette insieme informazioni sui delitti commessi, sui criminali schedati, sul loro modus operandi, e poi le soffiate degli informatori, le immagini della videosorveglianza e perfino le previsioni del tempo (c’è un nesso tra alcuni reati e il meteo). Poi, Crush sputa le sue previsioni su quante risse, quanti furti d’auto e in appartamento, quante rapine possono accadere e in che zona. Dicono che in città, dal 2006 al 2010, questi reati si sono ridotti del 24-26%. A Houston e New York esiste dal 2005 il Real Time Crime Center, che grazie ai software di Motorola interviene in caso di emergenza, centralizzando tutte le immagini delle telecamere, tutti i dati su veicoli e pregiudicati, individuando dove va il sospettato e preannunciando alle pattuglie che tipo di situazione stanno per affrontare.

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I tedeschi hanno in prova Precobs, (PreCrime Observation System). Gli inglesi stanno testando un software creato da Accenture, per combattere i membri delle gang criminali londinesi. Accenture raccoglie dati sui componenti delle gang da diverse fonti – dagli archivi della polizia stessa ai social media – e poi applica un algoritmo che indica le probabilità che il soggetto reiteri il crimine. L’idea è anche quella di tenere sotto controllo più minacce possibili con pochi investimenti: sono tempi di crisi per tutti. Così, quattro anni di dati sono confluiti nel programma ed ora stanno verificando se le previsioni che il software fa sono azzeccate.

E’ il trionfo dell’analisi predittiva, ma forse adesso farete un salto sulla sedia se vi dico che tutto è nato addirittura nell’800, con i primi studi (quelli del belga Quetelet e del francese Guerry- sotto, una sua statistica grafica) sulle statistiche criminali, che hanno poi portato nel ‘900 alla nascita del Crime Mapping, una disciplina che esamina e descrive la distribuzione dei reati nello spazio geografico e la loro frequenza nel tempo. Il Crime Mapping si è evoluto per tutto il Novecento, mappando e analizzando le tendenze geografiche del crimine e il suo addensamento nelle varie aree urbane; ha lavorato fianco a fianco con la criminologia per studiare i fenomeni criminali e valutare se e quali fattori possono influenzarli. Per poi incontrarsi con le meraviglie dell’informatica…

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Ci sono due tendenze, nell’analisi predittiva: prevedere in quali aree accadranno certi reati o, addirittura, prevedere quando un criminale tornerà a colpire. In entrambe i casi, un limite ovviamente c’è: perché funzioni occorre una serialità. Se volete fare un secondo salto sulla sedia, beh, allora vi dirò che anche gli omicidi seriali seguono una loro logica e in parte una prevedibilità.

E’ il cosiddetto “Modello di Localizzazione” di Rossmo, sviluppato nel 1993: il CGT, Criminal Geographic Targeting, che consiste in una mappa tridimensionale a colori,  in cui i vari colori e la loro intensità indicano la maggiore o minore probabilità di vicinanza al domicilio del reo. Uno strumento non campato in aria, ma frutto di studi criminologici quantitativi, ad esempio dalla “Routine Actvity Theory” ed in particolare dalla cosiddetta “funzione di decadimento”: il domicilio del reo è più distante dal luogo del crimine solo in un primo momento; progressivamente questa distanza diminuisce. Volete sapere perché? Perché di delitto in delitto il criminale si sente sempre più sicuro di sé, dei suoi strumenti e dei luoghi del crimine. Un modello, attenzione, con precisi limiti nell’applicabilità, indicati dallo lo stesso Rossmo: bisogna sapere il metodo utilizzato dal reo per cercare e aggredire la vittima; il loro luogo d’incontro; il luogo di ritrovamento. Dati che non è sempre scontato sapere. E poi, ci vogliono 5 delitti perché il CGT sia operativo. Nella prossima puntata vedremo che questi tempi, per altri reati, si sono davvero accorciati. E che anche sui dati necessari siamo andati già molto oltre. Perché un dato di fatto c’è: l’Italia sta muovendo passi decisi in questo mondo. Passi non da poco. Vediamoli. Partiamo da Milano, dove ci aspetta l’assistente capo della Polizia di Stato Mario Venturi, col suo Key Crime.

(fine puntata 1 di 3)

di Fabio Sanvitale

(ha collaborato Chiara Lombardo)