Torna Sanremo e, come ogni santo anno, ci sono sempre quelli che dicono che Tenco, nel 1967, fu ucciso. Noi di CN vogliamo dimostrarvi quanto sia balzana questa ipotesi, smontando il presunto omicidio e l’ancor più presunto complotto. Pronti?
Giusto per rinfrescare: Luigi Tenco muore la notte del 27 gennaio 1967, nella stanza 219 dell’ Hotel Savoy, a Sanremo, dopo esser stato eliminato dalla gara, alla quale concorreva in coppia con Dalida, con “Ciao amore ciao“. Si è molto discusso, alla luce del biglietto d’addio, se pensasse davvero di vincere il festival, se ci tenesse. Che Sanremo fosse una gara commerciale, per lui, non c’è dubbio. E anche che l’avesse convinto Dalida. Meno chiaro è se poi volesse arrivare davvero primo o se così avesse capito. Fatto sta che quella sera canta alle 22.30, è molto teso, sembra in apnea davanti al microfono. Poi si addormenta su un tavolo. Lo svegliano per dirgli che è stato escluso e impreca contro tutti. Vanno tutti al “Nostromo” a cena (è l’una di notte), lui guida come un pazzo; ma non entra, prende e se ne va in hotel. Qui si scola un litro di grappa e prende pasticche di Pronox ( l’accoppiata superalcolico-barbiturico non c’entra niente con quel che accadde: aumentò solo la rilassatezza del cantante, e il Pronox d’altronde favoriva il sonno). Poi chiama la sua fidanzata segreta, Valeria. L’ora esatta di questa telefonata è dibattuta, ma dura circa mezz’ora. Si mettono d’accordo: si vedranno domani.
Luigi Tenco viene trovato da Dalida alle 2.10 circa di notte. E’ lì, di traverso, qualche metro davanti alla porta. Dalida urla. La portano in camera sua, ha la lettera d’addio di Tenco con sè. E’ solo mezz’ora dopo che viene consegnata alla polizia. Intanto, succede un bordello. Entrano Lucio Dalla, Sandro Ciotti, arrivano altri. La polizia, guidata dall’ineffabile commissario Arrigo Molinari (nella foto in basso), arriva al Savoy e scopre che questo mondo e quell’altro è già passato nella 219. Un medico, Franco Borelli, arriva alle tre e certifica il suicidio (e vede la pistola tra le gambe di Tenco, un posto perfettamente compatibile con uno che s’è sparato in piedi).
Molinari intanto si trova pressato tra Ugo Zatterin, Presidente della Commissione Selezionatrice, che vuole far proseguire il Festival, e chi grida, come Lello Bersani, che invece va fermato. Da questo momento sarà Zatterin a guidare le indagini: non vuole il cadavere al Festival e Molinari lo porta via. Dirà anni dopo il commissario che da una parte Zatterin lo minacciava di destituzione perchè aveva reso pubblico il biglietto e gli chiedeva di fare sparire il corpo, dall’altra Bersani lo costrinse (sic!) a riportare il cadavere di Tenco dall’obitorio all’hotel, per mostrarlo a tutti e far capire che il Festival non poteva proseguire, per contestare. Chi conobbe Bersani giura che non era il tipo.
Il cadavere è intanto già arrivato al cimitero, quando il commissario s’accorge di un leggero dettaglio: ohibò, ma non abbiamo fotografato la scena del crimine! Riportate indietro il cadavere! Così, Tenco verso le 4 viene riportato nella 219, rimesso più o meno dov’era (e infatti il cadavere finisce grottescamente con i piedi sotto il comò), la pistola messa più o meno dov’era (e infatti finisce assurdamente sotto i glutei) e vengono scattate in tutto, udite udite, numero 6 foto. E questo è il sopralluogo! Va da sè che la posizione del corpo e dell’arma non significano letteralmente nulla, quindi. Il caso è archiviato come suicidio così rapidamente che non ritengono nemmeno di fare l’autopsia.
Nel 2005 la Procura di Sanremo riapre il caso, per decidere una volta per tutte se fosse suicidio e omicidio. Il corpo viene esumato a febbraio 2006, nuove indagini effettuate. Gli esperti della Polizia Scientifica trovano la traiettoria del proiettile. Un suicidio da manuale: colpo alla tempia destra, dal basso verso l’alto, in direzione antero-posteriore.
Vediamo quali sono, per i complottisti, allora, le prove dell’omicidio.
Molinari telefonò all’Ansa che Tenco s’era suicidato prima di arrivare al Savoy: già sapeva. Molinari sbagliò tutto. Fu affrettato nell’informare l’Ansa, ma non stava depistando niente. Semmai, voleva mettersi in luce.
La pistola non era nella 219. Dalida entra e non la vede, il produttore Dossena entra e non la vede. E certo che non l’hanno vista. E se fosse scivolata cadendo sotto una gamba? Poco sotto il letto? Fosse la prima volta. E poi, uno entra, vede la scena, va nel panico o si mette a cercare l’arma?
Nessuno ha sentito lo sparo, impossibile! E’ qui che i complottisti dimostrano di non sapere cosa sia la scena del crimine. Possibile sì, invece. Quando Ferdinando Carretta nell’agosto ’89 uccide madre, padre e fratello, usa un’arma della stessa marca, ma di calibro leggermente inferiore. E’ estate: finestre aperte, condominio, sera. Bene, sapete che nessuno sentì nulla? E i colpi furono ben più d’uno. Semplicemente: succede. E’ successo molte volte. La 219 era anche piena di mobilio di legno, che assorbe. Il Savoy non era silenzioso, a quell’ora, ma pieno di gente che lavorava, camminava, suonava nelle stanze. E quell’arma non produce un rumore gigantesco.
La pistola nelle foto non è la sua. Una perizia del dott. Farneti, già dirigente della Polizia, dice che l’arma trovata sotto il corpo di Tenco non è la sua PPK, ma una Beretta. Bella forza. E certo che non è una PPK. Quando riportano il cadavere nella 219, infatti, l’arma se la sono scordata in Commissariato. Molinari si fa dare allora la pistola d’ordinanza da un collega (sic!) ed è quella che piazza sotto i glutei del cantante.
Il bossolo non è compatibile con una PPK. Sostiene Farneti che il bossolo esploso (e poi ritrovato avventurosamente: vedremo come) non reca i segni di una PPK, ma di una Beretta. E’ una sua affermazione. Nel 2006 la Polizia comparò infatti arma e bossolo e stabilì che i segni lasciati dalla prima sul secondo erano esattamente quelli di una PPK.
C’è il bossolo, ma non c’è il proiettile. Dov’è? Certo che non c’è, Molinari non l’ha cercato. Sarà rimasto nel muro: e tenete conto che la 219 da allora è stata ristrutturata. Quindi, ora è perso.
Il guanto di paraffina sulla mano di Tenco non dimostra che abbia sparato. Falso. All’esumazione del 2006 vengono trovate due particelle di antimonio sulla mano destra e anche zolfo, che si usava nei proiettili di allora. Ecco perchè il guanto è stato dichiarato positivo. Inoltre, antimonio e bario sono intorno alla ferita, come da manuale.
Manca il segno di Felc! Altra affermazione che dimostra come tra i complottisti e la scena del crimine ci sia di mezzo l’Atlantico. Il segno di Felc è una piccola lesione lineare in corrispondenza del solco tra pollice e indice, che si produce per pizzicamento della pelle, quando rimane tra il carrello e il corpo della pistola. Ma attenzione: è rarissimo! Pensateci bene, come fa una mano a essere pizzicata? In una sola circostanza, se l’impugnatura è troppo alta, perchè altrimenti, avvolgendo con le dita il calcio della pistola, la pelle non è mai a contatto con il carrello dell’arma. Invece, i complottisti pensano che in ogni suicidio ci debba essere Felc per forza… Quando non trovarlo è invece la norma.
Il piede rotto. Guardando le foto del cadavere, degli esperti hanno visto un piede in posizione innaturale, quindi era fratturato, probabilmente nell’aggressione che Tenco subì. Ma quali siano gli “esperti” non si sa e come si fa a dire una cosa così grave solo sulla base di una foto in bianco e nero a bassa risoluzione? Impossibile. (fine prima parte)
di Fabio Sanvitale
Pingback: Luigi Tenco, fu omicidio? I tanti indizi che lo proverebbero