Diventare donna di casa ad appena 6 anni, un sogno per molte bambine. Ma per Judy, 46enne di Londra, si è trattato di un lungo incubo dentro le mura domestiche, perpetrato da chi invece avrebbe dovuto proteggerla: suo padre, Noah Walsh. “La maggior parte delle persone ha ricordi felici della propria infanzia: quelli con mio padre da una parte includono lui che m’insegna a nuotare e fare dei picnic insieme, ma ne ho anche di molto brutti“, confessa Judy in una lunga intervista al giornale inglese Mirror. Ma cosa le è successo?
Per anni Judy è stata vittima di violenze fisiche e verbali, abusi sessuali e, purtroppo, numerosi aborti, uno dei quali indotto proprio da suo padre. Sua madre scappò ben due volte: una quando Judy aveva sei anni, poi tornò quando ne aveva 10, forse per un rimorso di coscienza o chissà cos’altro, ma Noah Walsh aveva ormai ottenuto la custodia di Judy e dei suoi cinque fratelli, abusando della figlia già da quando aveva 6 anni. “Era cattivo con mia madre, le diceva che era inutile e la picchiava – sostiene Judy sul Mirror – Ogni volta che lei andava via, io prendevo il suo posto come moglie. Sarei dovuta andare a scuola, ma mio padre non me lo permetteva, dicendo che avevo troppe faccende da sbrigare a casa: come alzarmi presto e preparare la colazione ed il pranzo per il resto della mia famiglia, mio padre e i miei cinque fratelli. Inoltre dovevo lavare a mano tutti gl’abiti, non avevamo la lavatrice”. E poi: “Ero ancora una ragazzina quando mio padre cominciò ad abusare di me, mi lasciò confusa e totalmente spaesata. I lavori di casa mi esaurivano, ma mio padre mi minacciava con dei coltelli, così la sera ero costretta ad assecondarlo”.
Quando aveva 13 anni, Walsh la picchiò al petto talmente forte da mandarla in ospedale. Sarebbe anche potuta morire, ma Judy disse di essersi colpita da sola. “In quell’occasione mio padre mi accusò di essere il diavolo in persona e di non prendermi cura del suo amore, che aveva fatto dei sacrifici nella sua vita per il mio bene. Mi minacciò di uccidermi se il mio atteggiamento non fosse cambiato nei suoi riguardi. Per cui cambiammo casa, in modo tale da non avere occhi indiscreti. Non frequentai più la scuola per non potermi più confidare con nessuno”.
Da allora, la vita diventa ancora più soffocante: a 14 anni, Judy fu forzata dal padre ad aspettarlo ogni sera nella stanza da letto per quando tornava dal lavoro, come un vero e proprio dovere matrimoniale, lo stesso che Walsh racconterà più in là in tribunale: “Io e Judy in casa eravamo come moglie e marito“.
Come fu per lo storico caso di Elisabeth Fritzl, la ragazza austriaca imprigionata in un bunker dal padre per ben 24 anni (da cui ebbe 7 figli). Judy van Niekerk resterà incinta di suo padre per ben tre volte durante la sua prigionia, ed in tutti e tre i casi sarà vittima di aborto, di cui l’ultimo forzato dal padre stesso. “Ero così sola e disperata che ero disposta a tenere il bambino pur di avere qualcuno con cui interagire, ma mio padre non voleva correre il rischio che si diffondessero sospetti, così decise di farmi abortire. Provò prima con la forza, colpendomi allo stomaco, poi sottoponendomi a bagni bollenti credendo potessero farmi abortire, infine utilizzò una stampella”.
Judy decide di fuggire: scappa in Sud Africa all’età di 20 anni, dove incontra il suo attuale marito Tiny, un imprenditore 46enne, che la incoraggia a contattare la polizia. Walsh, allora 55enne, verrà arrestato nell’ottobre del 2000. Nonostante le accuse della figlia e le testimonianze dei vicini, Noah Walsh ammette solo tre tentativi di stupro e due accuse di atti osceni: la corte gli attribuì una condanna in carcere dai 30 anni in su.
Passano gli anni: Judy diventa trainer e motivatrice, scrive libri, insegna alle persone a cambiare la propria vita. 15anni dopo, nel 2004, la polizia la avvisa di recarsi in ospedale: il padre sta morendo per un cancro terminale ai polmoni. La forza di Judy è impressionante: “Decisi comunque di ringraziarlo per i bei ricordi che mi aveva donato. Gli ho detto che gli volevo bene, lui ha fatto lo stesso. Devo dire che dopo la sua morte mi sentivo triste, era pur sempre mio padre. Sono riuscita a perdonarlo e non ho alcun rancore nei suoi confronti ma, finalmente, ora sono in pace con me stessa“.
di Barbara Polidori