Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni di carcere per l’omicidio di Chiara Poggi. La Corte era entrata in camera di consiglio a fine mattinata. Non avremmo voluto essere al loro posto, davvero. Quello ad Alberto Stasi è stato un processo indiziario, che non ha trovato la prova che chiudesse il cerchio, ma un mucchio di indizi che potevano esser letti in un modo o nell’altro. E indagini fatte anche coi piedi. C’è voluta la Corte d’Appello di Milano (cioè il terzo collegio giudicante – se si eccettua la Cassazione, ovviamente – che si occupa del caso) per andare a vedere bene cosa c’era sotto le unghie di Chiara Poggi: dna maschile, che era troppo degradato per essere attribuito a Stasi. Per cercare di capire se quel capello trovato le dita di lei era suo: non è stato possibile saperlo, ma ecco che succede a cercare quando è troppo tardi. Che le unghie non parlano più.
C’è voluta la Corte d’Appello per chiedersi cos’era quel graffio sul braccio di Stasi, che la mattina del delitto apparve appena fatto ai Carabinieri. Per controllare ancora più a fondo ( questa perizia era già stata fatta) se poteva non macchiarsi di sangue l’assassino, nell’uccidere e nell’andare via. Non poteva: ora lo sappiamo ancora meglio. Non poteva non macchiarsi nemmeno Stasi, camminando sul sangue secco, così hanno detto i periti. E se allora non aveva macchie sulle scarpe (sequestrate molte ore dopo la scoperta del corpo), sui pedali della bici, allora vuol dire davvero che Stasi aveva sostituito i pedali, lavato le scarpe… Questo andava dimostrato. Ed è su questo che sicuramente ha deciso la Corte.
Sedici anni. L’accusa ne aveva chiesti trenta. Ci saranno dunque sicuramente ricorsi in Cassazione. Sarà l’ultima parola su questo caso.