Non tutti si sono resi conto, in queste ore, che quello che è successo nei laboratori della Polizia Scientifica e nella Procura di Napoli è la concretizzazione di un caso, a memoria nostra, unico al mondo, destinato a fare scuola:finalmente sappiamo chi è il maggior indiziato della strage di via Caravaggio, 39 anni dopo. Ma resterà libero di passeggiare per Napoli. Nessuno lo interrogherà, nè gliene chiederà conto.
Vediamo cos’è successo. Nel 1975 , al quarto piano di un palazzo al civico 78 di via Caravaggio,a Napoli, l’8 novembre, vengono trovati tre cadaveri. Sono quelli di Mimmo Santangelo, di sua moglie Gemma Cenname, di Angela (figlia del primo matrimonio di lui); Mimmo e Gemma sono stati buttati nella vasca da bagna e coperti d’acqua, Angela è sul letto matrimoniale. Sotto i corpi del coniugi, quello che resta del loro cagnolino, uno Yorkshire chiamato Dick. La casa è piena di strisce e macchie di sangue. Una cosa è sicura: hanno aperto loro la porta all’assassino, qualcuno così ben conosciuto che il pestifero Dick non ha abbaiato come al solito.
I vicini, quelli del piano di sotto, testimoniano che, proprio come nei gialli, l’assassino è tornato, di notte, sul luogo del delitto. A spostare i corpi, a cercare qualcosa. Viene arrestato un ragazzo: si chiama Domenico Zarrelli, fa la bella vita, viene descritto come sempre a caccia di soldi e capace di scatti violenti. E’ il nipote di Gemma. I processi sono tanti, lui si difende bene, alla fine viene assolto e risarcito dallo Stato. La strage resta senza colpevole. Fino a quando trova conferma quello che, su questo sito, avevamo anticipato, per primi, praticamente un anno fa.
E cioè che le nuove analisi condotte dalla Scientifica sui corpi di reato della strage (un asciugamano intriso di sangue, dei guanti da cucina gettati nei pressi del bagno, frammenti di lente di occhiali da vista trovati in salotto, la coperta con cui furono trascinati i cadaveri fino al bagno, la vestaglia gettata sulla grande chiazza di sangue nella camera dove fu uccisa Angela, alcune cicche di Gitanes) non sono più muti. Tutti reperti che erano stati maneggiati dall’assassino e sui quali poteva trovarsi ancora del dna utile. Sembrava un’impresa disperata, invece no. Quel dna ha parlato, ha fatto un nome: Domenico Zarrelli, l’assolto.
C’è poco da girarci intorno. Il dna di Zarrelli non può essere finito sui quei reperti per caso o virtù dello Spirito Santo. La comparazione col suo dna ha dato esito positivo. La cosa logica sarebbe quella di accusarlo di triplice omicidio e portarlo a processo. Invece no.
Perchè questo è l’incredibile: questo, è il caso unico in Europa. Ecco perchè, nonostante la Scientifica abbia completato i suoi esami a maggio del 2013, la Procura ha impiegato più di un anno per chiudere le indagini, per chiedere l’archiviazione. Perchè 39 anni anni dopo, quei risultati erano bollenti, nelle mani dei giudici. Che fare? Il punto è che Domenico Zarrelli è stato assolto in via definitiva ed esiste un principio sacro del nostro ordinamento, mutuato dal diritto romano. Si chiama “ne bis in idem” e vuol dire che non si può essere processati due volte per lo stesso reato. E’ giusto, certo. Ma chi lo spiega, adesso, alle tombe di Mimmo, Gemma ed Angela? 39 anni dopo, il dna ha chiuso il caso, ma il Diritto Penale lo ha lasciato aperto. Non è colpa dei magistrati, non ci si può fare nulla… Zarrelli, dunque, non può nemmeno essere indagato, perchè è già stato processato ed assolto. E’ diventato anche avvocato. Stavolta siamo arrivati tardi, molto tardi, a cercare giustizia.
Una domanda ce la facciamo, però. Come farà Domenico Zarrelli (di cui ricordiamo bene come si difese vigorosamente tanti anni fa, a “Telefono Giallo”, la trasmissione di Augias) a portare adesso la sua faccia per le strade di Napoli? La legge degli uomini non può più nulla, contro di lui. Ma prima o poi un’altra legge, quella di Dio, se ne occuperà.
Fabio Sanvitale