Era il 16 giugno scorso quando verso le 17 i carabinieri prelevavano da un cantiere di Mapello Massimo Giuseppe Bossetti, fino a quel giorno un perfetto sconosciuto all’opinione pubblica. Se non fosse che un’agenzia dell’Ansa quel pomeriggio sentenziò, attraverso le parole del Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che “l’assassino di Yara era stato arrestato”. Da quel giorno, Bossetti è diventato, suo malgrado, l’”Ignoto1” più famoso d’Italia.
Massimo Giuseppe Bossetti, infatti, è al 99.99% il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno scomparso nel 1999, quel figlio così a lungo cercato dagli inquirenti attraverso il prelievo e l’analisi di migliaia di DNA appartenenti agli abitanti delle zone circostanti a Brembate di Sopra. Qui la 13enne Yara Gambirasio ha vissuto con la famiglia fino a quel tragico 26 novembre 2010, quando venne rapita, uccisa e abbandonata ancora agonizzante in un campo di Chignolo d’Isola, poco distante da Brembate, dove fu ritrovata esattamente tre mesi dopo.
Una volta ritrovato, la speranza degli inquirenti era quella che il corpo della giovane ginnasta potesse parlare. E alla fine quel corpo ha parlato: macchie di sangue del suo assassino furono ritrovate sugli indumenti di Yara, assieme ad altre tracce – tra cui peli di animale e pulviscolo di materiali utilizzati nell’edilizia – che, dopo anni di indagini, hanno portato al muratore di Mapello.
Chi, invece, almeno nei giorni immediatamente successivi al fermo, non ha voluto parlare, avvalendosi della facoltà di non rispondere, è stato proprio Massimo Giuseppe Bossetti. Poi, il cambio di strategia: respinte tutte le accuse e dichiaratosi innocente, ha chiesto di poter parlare con il Pm, Letizia Ruggeri, al timone delle indagini. Di quel colloquio i legali di Bossetti, Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti, hanno riferito alla stampa della volontà del loro assistito di dimostrare la propria innocenza, fornendo agli inquirenti un’altra pista.
Pare, infatti, secondo il racconto dello stesso Bossetti, che soffra di epistassi, di cui i colleghi con i quali lavorava al tempo della scomparsa di Yara sarebbero a conoscenza e che, se interrogati, avrebbero potuto confermare. Dunque, le sue tracce sul corpo di Yara sarebbero arrivate lì per errore, per colpa di qualcuno che potrebbe aver utilizzato degli attrezzi sporchi del sangue dell’indagato. Un’ipotesi poco convincente, che neanche gli inquirenti sembrerebbero aver preso in considerazione.
Ora, proprio gli inquirenti stanno cercando ulteriori prove a carico di Bossetti che confermino la loro tesi. Ad esempio, l’analisi delle celle telefoniche ha rivelato che la sera del 26 novembre 2010 il cellulare di Bossetti e quello di Yara agganciarono la stessa zona prima che entrambi venissero spenti. Quello di Bossetti, in particolare, restò spento per ben 14 ore, fatto insolito per l’uomo, e si riaccese soltanto il giorno dopo. Inoltre, è emerso che Massimo Giuseppe Bossetti frequentava spesso quelle zone fino alla scomparsa di Yara, come confermano l’edicolante e l’estetista di Brembate che lavoravano proprio nei pressi della palestra frequentata da Yara. C’è poi anche una telecamera che avrebbe documentato il passaggio di un furgone bianco molto simile a quello di Bossetti la sera dell’omicidio della ginnasta.
Proprio l’Iveco Daily di Bossetti e la sua auto, una Volvo V40, sono stati analizzati dai Ris di Parma attraverso il luminol, che consente di evidenziare la presenza di tracce ematiche anche a distanza di anni. Al momento, però, sembrerebbe che di Yara lì non ci sia nessuna traccia. Analizzato anche il pc del muratore di Mapello da cui emergerebbero alcuni file hard, ma che secondo gli inquirenti sarebbero trascurabili e, dunque, non rilevanti ai fini dell’inchiesta. Inoltre, nelle ultime ore gli investigatori stanno analizzando ricevute e scontrini rinvenuti in casa Bossetti, per individuarne gli spostamenti e verificare l’esistenza di ulteriori elementi a supporto dell’impianto accusatorio. Nel frattempo, il Pm ha disposto il dissequestro dell’abitazione di Bossetti. “Potevano anche smontarla…”, sembrerebbe aver commentato l’uomo. Sempre negli ultimi giorni, poi, si sta facendo strada tra gli inquirenti l’ipotesi che Bossetti possa non aver agito da solo, ma aiutato da un complice, forse – pare – straniero e fuggito all’estero.
Dal carcere di Bergamo Massimo Giuseppe Bossetti continua, dunque, a professarsi innocente, e dopo aver già chiesto e ottenuto di incontrare la moglie – che, ascoltata dagli inquirenti, non gli ha però fornito un alibi per quella tragica sera – ora ha espresso il desiderio di vedere il padre, Giovanni Bossetti – o meglio, l’uomo che lo ha cresciuto – che sembrerebbe avere dei problemi di salute. E mentre le indiscrezioni su questa complicata inchiesta si susseguono freneticamente giorno per giorno tra continue smentite e conferme, c’è chi ancora si ostina a negare l’evidenza.
Una su tutti, la madre di Bossetti. Ester Arzuffi – questo è il suo nome – si è infatti scagliata contro i risultati del test del DNA che hanno inchiodato suo figlio, sostenendo che è stata la scienza a sbagliare e che Massimo Giuseppe e la sua sorella gemella sono figli di suo marito. Nel frattempo, i legali di Bossetti hanno dichiarato che faranno ripetere l’esame del DNA sul corpo di Yara. Gli inquirenti, però, per il momento sembrano procedere in un’unica direzione: continuare a raccogliere prove a carico di Bossetti e arrivare quanto prima ad un processo con rito abbreviato.
Di Simone Rinaldi