di Valentina Magrin direzione@calasandra.it
3 dicembre 2013
Si avvicina il momento della sentenza di Appello per Amanda Knox e Raffaele Sollecito, accusati di essere, assieme al già condannato Rudy Guede, gli assassini di Meredith Kercher. L’ennesimo puntino di sospensione di una vicenda che è iniziata la notte tra l’1 e il 2 novembre 2007 e che molto difficilmente troverà una fine che accontenti tutti. Prima condannati, poi assolti, poi l’annullamento dell’assoluzione e il rinvio alla Corte d’Appello di Firenze che ora dovrà emettere una nuova sentenza.
Nel frattempo Amanda se n’è tornata negli Stati Uniti e non ha nessuna intenzione di rimettere piede nel nostro Paese. Raffaele, invece, negli scorsi mesi ha viaggiato molto, ma è rientrato in Italia e ha seguito in prima persona alcune udienze del processo.
Ripercorriamo anche noi, in attesa delle battute finali e della sentenza, le fasi salienti di quest’ultimo (last but not least) capitolo processuale.
LA PERIZIA – Lo scorso 30 settembre, in apertura di processo, il presidente della Corte Alessandro Nencini dispone una perizia su una traccia trovata tra l’impugnatura e la lama del coltello (con lama di 15-20 centimetri) repertato in casa di Sollecito che, secondo l’accusa, sarebbe l’arma del delitto. Già altre due tracce presenti sullo stesso coltello erano state analizzate: la prima, presente sull’impugnatura, era stata attribuita ad Amanda; la seconda, sulla lama, a Meredith, ma il risultato era basato su un campione “low copy number”, quindi troppo esiguo e scientificamente inattendibile.
“Low copy number” sembra essere anche questa terza traccia, o almeno questo hanno sentenziato i periti dell’Appello di Perugia, prima ancora di analizzare la traccia. I giudici della Cassazione, però, non si sono dimostrati d’accordo: “E’ sicuramente censurabile la gestione dell’incarico conferito, posto che ai periti prescelti venne chiesto di attribuire il Dna estraibile dalla tracce sul reperto 36 (il coltello). Nel corso delle loro indagini, i periti nominati rinvennero una terza traccia sulla lama del coltello sequestrato in casa Sollecito, oltre a quella attribuita senza contestazioni alla Knox e a quella attribuita con forti contestazioni alla vittima. Detta traccia non venne sottoposta ad indagini genetiche, per deliberazione assunta in solitudine da uno dei periti, perché ritenuta in quantità non sufficiente per offrire un risultato affidabile, trattandosi di un low copy number”. La Corte D’Appello di Firenze decide che l’indagine genetica va fatta comunque, per stabilire se la quantità di Dna è sufficiente per essere analizzata e, in tal caso, a chi sia attribuibile.
Favorevole a questa nuova perizia è anche la difesa di Raffaele Sollecito, rappresentata dall’avvocato Giulia Bongiorno: “Più si approfondisce e più emerge la verità e quindi la sua innocenza”. Il 10 ottobre, quindi, nella sede dei carabinieri del Ris di Roma, iniziano i lavori peritali. Già a fine mese arrivano i risultati: la quantità di Dna è davvero esigua, ma quel poco che c’è è altamente compatibile col profilo genetico di Amanda Knox.
Un risultato che vuol dire tutto e niente, soggetto quindi di diverse interpretazioni: esso “allontana sempre più il concetto che quella sia l’arma del delitto” secondo l’avvocato Luciano Ghirga, difensore di Amanda; e invece no, “ora è provato che il coltello è stato usato dalla Knox – gli fa eco Francesco Maresca, legale della famiglia Kercher – e tale elemento, valutato insieme a quelli già presenti, permette di ipotizzare la responsabilità degli imputati”; macché, “È l’ennesima prova che non c’è alcun collegamento tra Sollecito e l’omicidio” tuona l’avvocato Giulia Bongiorno.
Di fatto, questa perizia difficilmente si rivelerà risolutivo.
LA PAROLA A SOLLECITO – Il 6 novembre, per la prima volta, si presenta in aula Raffaele Sollecito, che chiede di fare dichiarazioni spontanee. Parla per una ventina di minuti, ribadendo la sua estraneità ai fatti: “Sento nei miei confronti una persecuzione allucinante, senza senso. È un incubo – si sfoga – Mi hanno descritto come un assassino freddo e spietato, non sono niente di tutto questo”. Sollecito ribadisce: “Non ho mai conosciuto Guede e conoscevo pochissimo Meredith” e ricorda quei giorni (da notare, “giorni”, perché non durò nemmeno un mese) di intensa relazione con Amanda Knox: “Ero molto vicino alla laurea, avevo vent’anni e ho conosciuto Amanda, il mio primo vero amore. Vivevamo gli albori di una storia spensierata, volevamo stare nel nostro nido, vivere la nostra piccola favola. C’era tutto nella nostra mente, fuorché una visione di disprezzo dell’essere umano, come ci descrive chi ci accusa”. Infine, commosso, Raffaele ha chiesto ai giudici di restituirgli “una vita, perché al momento io una vita reale non ce l’ho”.
LA REQUISITORIA – Il 25 e il 26 novembre sono i giorni della lunga requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Alessandro Crini. Dodici ore in cui il Pg smonta gli alibi di Raffaele Sollecito e Amanda Knox e si prepara alle richieste di condanna, che verranno pronunciate il 26. Secondo la tesi dell’accusa, una chiara indicazione di colpevolezza di Amanda deriverebbe dall’aver ingiustamente tirato in ballo Patrick Lumumba (con conseguente condanna a 3 anni di carcere per calunnia), il congolese gestore del pub dove la stessa, saltuariamente, lavorava. Amanda, in un secondo tempo, aveva confidato alla madre che in realtà quella sera Lumumba non c’era: ma “cosa ti dà questa certezza, se non il fatto di essere stata presente?” si Chiede Crini. E di conseguenza anche Raffaele, visto che “la presenza della Knox è difficilmente sganciabile dalla presenza di Sollecito sul luogo del delitto”.
Ma non solo: quando la Knox raccontava il coinvolgimento di Lumunba, descriveva “l’urlo e la violenza”, ossia “elementi di verità: ma da dove derivano questi dati, se non dall’essersi confrontata direttamente con questa vicenda?”.
Ma anche il racconto di Amanda e di alcuni testimoni sulle ore precedenti e successive al delitto lascia molte perplessità: la ragazza, infatti, dice di aver dormito da Raffaele e di essere tornata nell’appartamento di via della Pergola solo la mattina seguente, non notando la confusione provocata dal tentativo di furto (vero o presunto) nella camera di un’altra coinquilina, che in quei giorni non era in casa. Un clochard, invece, dichiara di aver visto Raffaele e Amanda davanti alla villetta di via della Pergola proprio la sera del delitto, mentre un commerciante asserisce di aver visto entrare Amanda nel suo negozio la mattina del 2 novembre, in cerca di prodotti per la pulizia domestica. Chi mente? Chi ricorda male? Il Procuratore Generale non ha dubbi.
Sollecito, dal canto suo, ha sempre dichiarato di aver trascorso le ore in cui verosimilmente avveniva il delitto davanti al computer, ma secondo i consulenti non vi sarebbe prova di una sua effettiva interazione con l’apparecchio: questo, secondo Crini, “costituisce un primo elemento per caratterizzare la cosiddetta falsità dell’alibi”.
Infine, il Pg fa un appello ai giudici della Corte d’Appello di Firenze al fine di “non compiere l’errore” dei loro colleghi di Perugia, che hanno assolto gli imputati “atomizzando gli elementi” dell’accusa e perdendo così d vista “l’insieme”.
LA RICHIESTA DI CONDANNA – Non ci sono dubbi, per il sostituto Pg di Firenze Amanda Knox e Raffaele Sollecito, insieme al già condannato (a 16 anni di carcere, con rito abbreviato) Rudy Guede, sono gli assassini di Meredith Kercher. Il movente, però, non sarebbe quello indicato dalla Cassazione, e cioè un gioco erotico finito male. Crini sostiene che Meredith si sarebbe arrabbiata perché Guede era andato in bagno senza tirare lo sciacquone. A quel punto sarebbero iniziati i momenti di tensione con Amanda e Raffaele, che quella sera avevano fumato marijuana. Guede avrebbe aggredito la giovane inglese, tenendola ferma con una mano (“immobilizzata come un animale”) e abusandone sessualmente con l’altra. Nel frattempo Amanda e Raffaele, armati di coltelli, avrebbero iniziato a colpirla. Il colpo fatale sarebbe stato sferrato da Amanda. Crini parla di una “progressione di violenza” che “si sostanzia nella volontà di togliere di mezzo la persona offesa da fatti gravi”. Non c’è stata nessuna contaminazione dei reperti e nulla che possa escludere la responsabilità dei due fidanzati nell’omicidio.
Per Amanda e Raffaele vengono richiesti 26 anni di carcere. Per Amanda, poi, ne viene chiesto 1 aggiuntivo ai 3 già definitivi per la calunnia a Lumumba, per un totale di 30 anni.
Sono richieste dure, che peseranno sui due imputati durante tutte le imminenti feste natalizie. Per sapere se saranno accolte o respinte dovremo aspettare, infatti, il 9 o 10 gennaio 2014. Ma la sensazione avuta finora è che, qualunque decisione prenderà la Corte, la verità sulla morte di Meredith sia destinata a rimanere avvolta nel mistero.
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