di Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it
16 ottobre 2013
In Italia è merce rara, all’estero no. Per questo oggi vi raccontiamo come lavorano gli specialisti della ricostruzione facciale, quelli che da un cranio sanno ricostruire un volto. Si parte dal ritrovamento di uno scheletro… e poi? “La ricostruzione facciale comincia riassemblando i resti scheletrici, se frammentati; quindi si fa una duplicazione del reperto originale tramite Tac, scansione laser o semplice calco, L’antropologo forense, nel frattempo, analizzando attentamente lo scheletro, ha stilato il profilo generico di identità – ci spiega Chantal Milani, odontologo e antropologo forense – definendo origine razziale, sesso, età, statura, ecc. Alcune di queste informazioni saranno alla base della ricostruzione, che si realizza con la modellazione dei tessuti molli sopra il cranio”.
E’ solo l’inizio di un percorso molto affascinante, ma scarsamente usato in Italia (con l’eccezione di alcuni musei. come nel caso della mummia di Harwa). In genere, da noi si preferisce scoprire l’identità di uno sconosciuto sulla base di indagini territoriali, oppure grazie all’incrocio del dna del presunto scomparso con quello del corpo ritrovato. Il tutto facendosi aiutare dal Ri.Sc., il grande database interforze delle persone scomparse e dei cadaveri senza nome. Tuttavia in Italia, secondo il Ministero dell’Interno, ci sono ancora quasi 800 cadaveri non identificati a fronte di decine di migliaia di persone scomparse…
“Le indagini territoriali sono sempre fondamentali, certo. Il Dna tuttavia, visti i suoi costi e tempi, non può essere eseguito ogni volta su ampia scala. E quindi la stesura di un corretto “profilo generico di identità” è importante, perché permette di restringere notevolmente il numero dei candidati e procedere con i metodi di comparazione per confermarne o escluderne l’identità” ci spiega Milani.
Ma cosa c’entra un odontoiatra forense con tutto questo? “C’entra – risponde Milani – perché fra i metodi per fare una comparazione diretta tra sospetto di identità e resti umani ci sono proprio quelli antropologici e odontologici, rapidi ed economici. La dentatura di un soggetto ha un enorme potere identificativo. Ecco quindi che interviene l’odontologo forense, professionista esperto in questo genere di comparazioni, che è anche in grado di stimare l’età su cadaveri e viventi – ad esempio per stabilire l’imputabilità, o per l’inserimento a scuola di bambini adottati di cui non si è certi dell’età – oltre ad entrare in gioco quando sul corpo di una vittima viene individuato il segno di un morso …”
D’accordo, ora abbiamo tutti i dati dello scheletro e del cranio. E adesso? Ne facciamo una copia in resina o in gesso. E qui inizia la ricostruzione vera e propria. In Italia se ne occupano la Polizia Scientifica di Torino e il Labanof di Milano. Ed è proprio a Torino che incontriamo Valter Capussotto, Sovraintendente presso l’Unità Anti Crimine Violento (UACV) della Polizia Scientifica. “La tecnica migliore, secondo me, è il cosiddetto Protocollo Manchester. Funziona così: in corrispondenza di specifici punti anatomici del cranio si applicano bastoncini della stessa lunghezza dello spessore dei tessuti molli in quel punto – muscoli, pelle, ecc – e corrispondenti allo specifico “profilo di identità”, stilato precedentemente dall’antropologo forense. A questo punto si passa alla modellazione anatomica, riproducendo i muscoli e la pelle. La ricostruzione facciale, comunque, è un lavoro multidisciplinare, in cui abilità artistiche sono affiancate da regole scientifiche”.
Ma Capussotto ci spiega anche perché in Europa siamo il fanalino di coda: “c’è una scarsa conoscenza della tecnica, siamo in pochissimi in Italia a praticarla. Inoltre, molti ne sottovalutano le potenzialità. Ed un ulteriore motivo sono i costi. Eppure, anche a Torino abbiamo alcuni cadaveri non identificati su cui potremmo applicare le ricostruzioni facciali, già eseguite con successo in altri casi. Sa cosa dicono gli studi internazionali? Che questa tecnica porta all’ identificazione nel 72% dei casi. Per un buon risultato, però, l’importante è non improvvisarsi, ma affidarsi sempre a veri professionisti, antropologi forensi, odontologi o artisti. Collaborazione e multisciplinarietà, nelle scienze forensi, oggi sono fondamentali”.
Fra i casi più recenti di Polizia, proprio Capussotto a settembre 2010 ha dimostrato l’utilità di questa tecnica, aiutando nell’identificazione del cadavere noto come l’ “Uomo di Montafia”.
L’aspetto più artistico di quel lavoro era stato curato da Michele Guaschino, scultore ed effettista speciale, da 22 anni nel settore. “Sono lavori lunghi e complessi, sa? Dopo che l’artista forense (cioè Capussotto),ha modellato sulla copia la ricostruzione facciale, usando argilla o plastilina, se il risultato deve essere duraturo, e soprattutto molto realistico, il lavoro proseguirà realizzando anche una copia in silicone della ricostruzione precedente, completandola con protesi oculari e capelli veri. Con questa procedura il risultato finale è sorprendente: sembra di avere di fronte la persona in carne e ossa! Tuttavia, il costo di quest’ultimo tipo di finitura è molto più elevato rispetto alla sola ricostruzione in plastilina. E’ usata principalmente per personaggi storici e destinati ad allestimenti museali, fatti per durare nel tempo”.
In fondo, cosa c’è di nuovo? Erano tentativi di ricostruzioni anche le maschere funerarie egizie, le sculture “anatomiche” di Zumbo nel ‘600 o la prima ricostruzione della storia, eseguita sul volto di una donna dell’età della pietra. E’ una lunga storia, quella di questa straordinaria tecnica. Peccato che in Italia sia ancora così poco adottata.
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