Volete diventare investigatori privati? Ecco come si fa

investigatoredi Alessandro Cascio direzione@calasandra.it

ex investigatore privato – segretario nazionale APIS

Condividi

2 luglio 2013

Moltissimi vorrebbero diventare investigatori privati perché è – indubbiamente – una professione intrigante e – purtroppo – ricca di significati stereotipati. Ma come si fa?

Cominciamo dalle cifre. Anche se manca un censimento ufficiale, gli investigatori privati italiani pare siano circa 3.000 di cui 1/3 concentrati a Roma, Milano e Napoli. Il 90% di loro ha ottenuto la licenza secondo le regole del vecchio ordinamento, superato solamente da un paio di anni da una norma che – di fatto – è stata una “mini-riforma”.

Per esercitare la professione di investigatore privato, in Italia, è indispensabile richiedere una licenza/autorizzazione alla Prefettura territorialmente competente, ubicata cioè nella Provincia in cui si intende stabilire la sede dell’agenzia e dimostrare il possesso dei requisiti richiesti.

Una volta, invece,   occorreva documentare la capacità tecnica e non era neppure necessario uno specifico titolo di studio:  infatti, la normativa di riferimento risaliva al 1931. Questo per farvi capire perché la legge prevedeva semplicemente di non essere analfabeti, dunque non occorrevano particolari titoli di studio…Questa capacità tecnica era la somma delle conoscenze ed esperienze dell’aspirante investigatore privato, maturate o come ex appartenente alle forze dell’ordine o attraverso un periodo di tirocinio/praticantato presso un’agenzia di investigazioni, nella maggior parte dei casi non inferiore ai 2 anni o superiore ai 5. Era anche indispensabile il possesso di determinati requisiti morali e la fedina penale, ovviamente, immacolata. Non esistevano corsi di formazione o università in grado di garantire questo tipo di preparazione. Così, l’aspirante investigatore iniziava a collaborare con un’agenzia e quindi veniva segnalato dal titolare alla Prefettura territorialmente competente. Questa segnalazione, unitamente al contratto di lavoro, o lo “stato di servizio” nel caso di ex appartenenti delle forze dell’ordine, costituivano titolo per soddisfare il requisito della capacità tecnica.

Ma la valutazione delle capacità tecniche era  ampiamente discrezionale, il che consentiva alle Prefetture di rilasciare licenze senza avere certezze sui trascorsi lavorativi e professionali degli aspiranti investigatori: del resto la  norma a riguardo era sommaria, lasciando spazio – così – a possibili e dubbie interpretazioni.
In questo scenario, già deprimente, molti di coloro che non avevano maturato una specifica esperienza professionale nel settore, consolidarono una prassi ambigua per ottenere  – comunque – la licenza, attraverso una scorciatoia che evitava loro faticosi tirocini pluriennali. Entravano in società con un titolare, disposto a ritirarsi dall’attività in cambio di denaro. Anche solo dopo sei mesi di vita della nuova compagine sociale l’investigatore privato in carica si dimetteva, lasciando le redini al neofita, a cui la Prefettura non poteva negare il proseguimento dell’attività, conferendogli una nuova licenza.

Questo subentro era però un patto illecito che violava le norme imperative, infatti le autorizzazioni di polizia sono personali e non possono in alcun modo essere trasmesse né dar luogo a rapporti di rappresentanza: sarebbe come vendere, prestare o affittare la propria patente! Così,  si sono pericolosamente infiltrati tra gli investigatori privati competenti e in gamba un bel numero di  incompetenti, che usano il metodo empirico (intuito/fiuto) e sono incapaci di comprendere fatti complessi attraverso il ragionamento e l’analisi. Formulano ipotesi scaturite da convinzioni personali, senza esigere che siano verificate almeno attraverso indizi gravi e concordanti, producendo  – così –  responsi simili a quelli di cartomanti e fattucchiere.

E’ chiaro che, per la categoria, recuperare credibilità nei riguardi dell’opinione pubblica sarà pressappoco impossibile a queste condizioni…Ma non è tutto.
Gli investigatori privati che hanno esercitato la propria attività negli ultimi 50 anni hanno anche dovuto fare i conti con l’obsoleto sistema normativo che ha regolamentato il settore sin dall’epoca fascista. Un ibrido giuridico/economico tutto italiano, che ci ha fatto guadagnare la sentenza di condanna dalla Corte di Giustizia Europea, alla fine del 2007, per i contenuti del Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza (Titolo IV), il sistema normativo più arcaico d’Europa, difeso con pervicace ottusità dal nostro Governo. Non solo. Il detective italiano è anche costretto alla schizofrenia locale dei regolamenti prefettizi o questurini e sobillato dalle Circolari del Ministero dell’Interno che tentano di sopperire un vuoto legislativo, solo parzialmente colmato dalla mini riforma del 2010. A questo punto sarebbe forse meglio una totale liberalizzazione.

Con le nuove leggi  è cambiato poco nella sostanza, se non l’eliminazione del limite territoriale dell’esercizio dell’attività, che prima era ristretta alla Provincia in cui veniva rilasciata l’autorizzazione. Si sono anche esplicitamente autorizzate le attività di controllo statico (appostamento) e controllo dinamico (pedinamento) e si è concesso l’uso di marchingegni elettronici da installare sulle auto dei soggetti da monitorare, per pedinarli a distanza. Infine è stata riconosciuta la figura dell’investigatore privato dipendente, in quanto prima i collaboratori/agenti di un istituto d’investigazioni erano giuridicamente degli “ibridi” privi di autonomia e di ogni riconoscimento.

L’attuale licenza non conferisce all’investigatore privato, però, quasi alcuna facoltà/possibilità operativa diversa da un privato cittadino. Una licenza di polizia che – per ora – impone solo obblighi e non concede alcun concreto vantaggio ai suoi sfortunati possessori. Tutto questo mentre aspettiamo ancora un tesserino di riconoscimento, mentre l’investigatore privato del futuro – secondo il nuovo ordinamento –  deve essere laureato, aver fatto un triennio di praticantato e deve partecipare ai corsi di aggiornamento (per la felicità di certe associazioni che ne hanno fatto un business), ai sensi del D.M. 269/10.

In questo marasma – in cui non esiste un albo/ordine professionale degli investigatori privati–  la recente legge n. 4 del 14 gennaio 2013 ha ammesso la categoria a far parte delle cosiddette “associazioni professionali” che devono curare la propria formazione, anche attraverso l’accreditamento di enti certificatori esterni.

Una procedura che dovrebbe scorporare gli improvvisati dai professionisti, impegno prioritario dell’APIS (Associazione Professionale Investigazioni e Sicurezza).

 

  • Matteo Scattolin

    Ma quale scuola superiore devo fare per poi diventare un investigatore?

    • http://www.demetragroup.it Alessandro Demetra

      Gentile Matteo,
      non ha importanza il tipo di diploma che si consegue poichè il richiedente, al momento della presentazione dell’istanza per ottenere la licenza, deve essere in possesso di una laurea triennale nelle seguenti aree:

      – Giurisprudenza
      – Psicologia a Indirizzo Forense
      – Sociologia
      – Scienze Politiche
      – Scienze dell’Investigazione
      – Economia

      • Francesco

        Salve alessandro economia quale??? va bene anche quella scienze economiche o quella economia aziendale??