di Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it
27 giugno 2013
Assolta. Jessica Pulizzi non c’entra con il sequestro di Denise Pipitone. Ce lo sentivamo che finiva così, mentre le lancette dell’orologio scorrevano sempre più lentamente e la camera di consiglio del Tribunale di Marsala diventava sempre più lunga. I pm avevano chiesto quindici anni di carcere, per concorso in sequestro di persona. Ma questo è sempre stato un processo indiziario, fatto di frasi sbocconcellate, di conclusioni ricostruite con la logica.Tutto portava a Jessica. Per la Corte il paradigma indiziario proposto dall’accusa non è stato sufficiente a delineare una responsabilità penale.
Questa storia era iniziata il 1 settembre 2004. E’ quello il momento ed il giorno in cui la piccola Denise Pipitone sparisce davanti casa della nonna, in via La Bruna, a Mazara del Vallo. Le indagini conducono presto all’odio di Jessica e di sua madre, Anna Corona, per Pietra Maggio, la mamma di Denise. Un odio invincibile, viscerale, un odio che era per loro ragione di vita: e forse di morte.
Odio per quella donna – la colpa è sempre della donna, si sa – che aveva portato loro via Pietro Pulizzi, marito della Corona e padre di Jessica. E che con l’altra, la svergognata, con “quella là”, ci aveva fatto pure una figlia, Denise. E’ qui, secondo l’accusa, il motivo del sequestro: portar via l’innocente Denise, per vendicarsi.
Prove della morte della piccola non ce ne sono, anzi: le riprese di una bambina che le somiglia tantissimo, a Milano, in piazza Ohm, il 18 ottobre dello stesso anno, fanno pensare che Jessica e la madre abbiano avuto il coraggio di cederla o venderla ad un gruppo di Rom.
Ma il risultato del processo di oggi, poi, è importante anche per la sua capacità di condizionare l’esito dell’altro che si dovrà fare: quello ad Anna Corona. In molti si aspettavano un esito diverso dal processo di Marsala, perché negli anni gli indizi erano andati a costruire un quadro di bugie, di menzogne interessate, un quadro creato ad arte dalle due donne, madre e figlia.
Le celle telefoniche, le intercettazioni ambientali, le telefonate, hanno dimostrato che ognuna della due ha mentito su dove si trovava quella mattina (la Corona con la complicità di una collega di lavoro), che ci sono stati spostamenti addirittura fuori Mazara nelle ore successive, che accanto al motorino di Jessica c’erano due uomini che discutevano di dove portare Denise, che nelle pause degli interrogatori in caserma si coordinavano su cosa dire e cosa non dire riguardo dove l’avevano portata. Che all’arrivo degli investigatori, la Corona ha fatto loro perquisire una casa per un’altra; non la sua. Che hanno cercato di scivolare tra le intercettazioni ambientali il più possibile, parlandosi attraverso pezzetti di carta. Hanno negato tutto, sempre, perfino di sapere di chi era figlia Denise. Gli è andata bene, finora.
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