Emanuela Orlandi: sarà veramente difficile dire se Fassoni Accetti è “l’Americano”

orlandidi Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it

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7 giugno 2013

E’ veramente difficile stabilire se la voce dell’Americano e quella di Marco Fassoni Accetti sono la stessa. Troppi anni passati, troppo diverse le tecnologie di ieri e di oggi, per dare un’identità vera e propria. All’impossibilità di trovare DNA sul flauto fatto ritrovare dal nuovo teste del caso Orlandi, si aggiunge ora la difficoltà di capire se la sua voce e quella dell’Americano siano la stessa. Intendiamoci, questa perizia non è stata ancora disposta dai magistrati, ma l’aria che tira è che non verrà proprio fatta. Eppure Accetti ha dichiarato di essere stato uno dei telefonisti del sequestro: e quindi questa perizia sarebbe proprio la prova del nove… Per spiegarvi il perché abbiamo incontrato il professor Roberto Cusani, ordinario di  Ingegneria delle telecomunicazioni alla Sapienza di Roma.

Innanzitutto, cosa dice la legge in Italia? Come si fa a stabilire un’identità fonetica?

“Occorrono cinque caratteristiche fonetiche specifiche di ogni parlante, che devono essere comparabili e identiche. In genere sono suoni vocalici perché, formandosi nella gola, acquisiscono delle frequenze specifiche, uniche per ognuno di noi, come le impronte digitali”.

Sembra semplice: e certo le tecnologie di oggi consentono di “leggere” e ripulire il suono molto meglio di trent’anni fa. Ma se volessimo comparare le frequenze della voce che ha oggi Accetti con quelle dell’Americano nel 1983, troveremmo difficoltà?

“Ne troveremmo davvero molte. Uno dei problemi è la qualità delle registrazioni di allora. Certo, contano i rumori di disturbo eventualmente presenti e dovuti all’ambiente, così come la posizione del microfono; ma soprattutto c’è il fatto che il telefono, fisso o cellulare che sia, di per sé distorce e taglia le frequenze più alte, rendendo molto complesso il confronto. Poi non dobbiamo dimenticare l’invecchiamento della voce, che rende molto difficilmente comparabili due voci a distanza di molti anni, come in questo caso. E’ passato davvero troppo tempo…”

Alcuni anni fa il professor Cusani esaminò una delle telefonate dell’Americano a casa Orlandi. Ripulendo e applicando software specifici, dalla telefonata affiorò che, insieme all’uomo, c’era un misterioso “Sam”, cui l’Americano dettava anche dei numeri. E, sullo sfondo, il fischio di un treno. Non si potrebbe trovare qualcosa di nuovo anche nelle altre telefonate, allora?

“Si potrebbe trovare qualche altro “Ok Sam”, certo. Ma non credo abbia molto senso iniziare proprio, in questo caso. Ripeto: qualunque perito potrebbe invalidare una perizia in cui si confrontano due voci a trent’anni di distanza. E poi c’è anche qualcos’altro da considerare”.

Cosa?

“Che le registrazioni del 1983 erano analogiche, su nastro magnetico, un supporto che si altera nel tempo. Ricorda come si distorceva il suono delle audiocassette, quando venivano lasciate in automobile, sotto il sole? Non sappiamo come siano state conservate finora le intercettazioni dei sequestratori, ma il tempo è certo passato. Quello che al massimo si potrebbe fare, oggi come oggi, è non escludere che si tratti della stessa persona. Oppure si potrebbe escluderlo del tutto, ma solo se ci fosse una diversità davvero totale tra le due voci. Ecco, si potrebbe stabilire una compatibilità, non un’identità”.

E come lo sappiamo noi, lo sanno anche i giudici Capaldo e Maisto, che conducono l’inchiesta. E’ la situazione peggiore: perché è impossibile, in questo modo, accertare definitivamente se Fassoni Accetti dice il vero o il falso. Per quello che ne sappiamo, questa perizia non verrà nemmeno cominciata. Ora anche voi sapete perché.

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