Le carceri che verranno. Viaggio nel futuro degli istituti di pena italiani. Seconda parte

carceredi Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it

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30 maggio 2013

(LEGGI LA PRIMA PARTE) Dove eravamo rimasti? Nella precedente puntata abbiamo detto che non occorrono nuove carceri, abbiamo detto che ristrutturando si possono ottenere bei risultati. Naturalmente, a questo andrebbe abbinata una politica di depenalizzazioni: ne abbiamo molto bisogno. Qui il discorso va sul sistema penale, sulle “sezioni transito” che fanno perdere tempo, quelle in cui stanno per un’ora extracomunitari da identificare e rimettere fuori, facendo perder tempo ed occupando inutilmente celle.

Secondo i dati diffusi da Antigone, alla base dei problemi c’è infatti un sistema penale in cui il 50% dei detenuti resta dentro poche ore ed il 25% ha un residuo pena di un anno. Per tutti questi non sarebbe meglio trovare altre soluzioni che non siano il carcere? Per forza che, così come sono adesso, scoppiano.

Ma per rimettere il nostro sistema carcerario nei limiti della vivibilità bisogna anche fare altro. Cosa? I detenuti sono cresciuti molto, negli ultimi anni, soprattutto a causa dei tanti arresti tra la criminalità organizzata: oggi sono 9000 i detenuti di questo tipo. Poi ci sono gli extracomunitari, che fanno il 35% del totale. Ma da noi c’è il carcere anche per illeciti che in altri paesi sono punti con sanzioni amministrative. Anche se chi commette questi reati più leggeri non finisce materialmente dentro, certo poi sarà difficile applicargli delle attenuanti o concedergli la sospensione condizionale, se verrà ripreso. Per sgonfiare le carceri ci sarebbero anche le misure alternative, certo, ma non vengono concesse così frequentemente come si crede e raramente ad extracomunitari. E infine ci sono stati casi di delitti commessi da detenuti in permesso: le polemiche sono state così ampie, che oggi la magistratura di sorveglianza va giustamente coi piedi di piombo.

Va bene, depenalizziamo: ormai sono in molti a suggerire questa strada. Non tutti i reati meritano il carcere, d’accordo. Ma non sarà certo solo questo a risolvere il problema del disagio in carcere, dei suicidi, delle malattie, dell’autolesionismo dei detenuti.  In realtà, gran parte del disagio nasce dal fatto di stare 22 ore in cella, tranne le poche ore in qualche aula scolastica, al passeggio, nelle stanze della socialità, o in qualche corso, se il detenuto lo frequenta. In Italia usiamo ancora un regime carcerario chiuso, sostanzialmente. Ma oggi pian piano si sta passando ad un regime aperto per tutti i detenuti a media sicurezza: che significa farli rimanere fuori dalla cella tutto il giorno, tranne che per dormire. Anche questo servirà.

Un nuovo modello di gestione del tempo in carcere è dunque parte della risposta. Ma ci sono anche altre idee. Un dato di fatto, ad esempio, è che, se manca la possibilità del lavoro in carcere, la recidiva è sempre più alta (qui si sono contratti i fondi del Ministero – e di molto). Un altro dato di fatto è che si svuoterebbero celle usando, per chi ha i domiciliari, i braccialetti elettronici di ultima generazione (non quelli che stanno attualmente nei magazzini del Ministero, che usano una tecnologia superata…).

E comunque, qualcosa che funziona c’è. Carceri modello? Bollate, Padova Reclusione, Rebibbia Nuovo Complesso, Fossano, Orvieto.  Queste sono quelle dove oggi si stanno ottenendo i risultati migliori.

Le potenzialità, i progetti, le energie ci sono, per voltare pagina. La politica saprà capire tutto questo?

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