Di Mauro Valentini – www.retrospettive.com
“Il problema più grande in tutti questi anni, sembrerà assurdo, ma è stato difendersi dalle istituzioni, nel senso che sono state fatte azioni che hanno cercato di depistare per coprire la cosa orribile di cui si erano resi in qualche modo responsabili. Le nostre energie sono state tutte impegnate a difenderci, quasi fossimo colpevoli e non vittime”.
Via Colle dei Marmi a Velletri è una strada bellissima, un luogo incantato e silenzioso dove chi la percorre può godere di un bellissimo panorama tra le colline dei Castelli.
Davide Cervia quel 12 settembre del 1990 la stava percorrendo velocemente, risaliva dopo una giornata di lavoro verso casa, atteso dalla famiglia, che aveva in serbo per lui una sorpresa, una di quelle sorprese che fanno luccicare gli occhi a tutti i papà, la sua primogenita Erika si era esercitata tutto il pomeriggio sulla bicicletta per mostrare a Davide di aver imparato ad andare su due ruote. Una festa, sicuramente sarebbe stata una festa.
Ma passano i minuti, le ore e Davide non arriva, ci si comincia a preoccupare, Marisa la moglie fa rientrare in casa i bambini, comincia a telefonare ai colleghi, ma tutti dicono di averlo visto uscire per tornare a casa e che anzi, aveva detto di aver premura di tornare, il pensiero di quel sorriso felice e soddisfatto della figlia non permetteva di trattenersi oltre l’orario quel pomeriggio.
Comincia così uno dei misteri più terribili e non confessabili di questo che è il paese dei misteri, uno sporco mistero che coinvolge le massime autorità dello Stato, e che dopo 23 anni vede i vertici della Difesa sul banco degli imputati.
Libri sono stati scritti sul caso, da parte di giornalisti che hanno preso a cuore la vicenda e l’hanno seguita spinti da comitati spontanei, scoprendone sconcertanti azioni di depistaggio e tantissime verità nascoste.
Per uno di questi, quello scritto da Gianluca Cicinelli e Laura Rosati dal titolo “ Un mistero di Stato” sono stati denunciati da alti vertici delle forze armate per diffamazione sia gli autori che la Signora Marisa, che naturalmente sono andati assolti e che anzi, proprio da quella sentenza di assoluzione del Tribunale di Civitavecchia hanno visto riconosciuto quante malevole angherie questa famiglia così bella ed unita ha dovuto sopportare in questi anni in termini umani e pratici, sentenza di cui parleremo poi.
Un altro libro dall’eloquente titolo “ A.A.A.Vendesi esperto di guerre elettroniche “ scritto più recentemente da Valentino Maimone evidenzia quanto di spietato possa esserci dietro il traffico di armi e del “corredo” tecnologico e umano necessario.
Percorro oggi la stessa strada che percorse quel giorno Davide, alla stessa ora di quel maledetto 12 settembre di tanti anni fa, la famiglia Cervia mi accoglie con il sorriso, i vigneti non sono colorati in questa stagione, eppure la vista che si gode da qui è splendida.
Erika mi stringe la mano, ora è una donna, ha smesso di andare in bicicletta, l’infanzia per lei è finita presto, lavora sodo ed è molto attiva nel comitato spontaneo creato per chiedere giustizia per suo padre, insieme a lei c’è Marisa, la moglie di Davide, una donna che trasmette energia come tutte le donne che hanno dovuto rimboccarsi le maniche e fare anche da padre ad Erika e Daniele.
C’è anche Alberto, il papà di Marisa, memoria storica del caso, granitico e sorridente.
Li ascolto, le domande che mi ero preparato quasi si sciolgono diluite nelle parole di chi questa vicenda l’ha vissuta e la vive.
Marisa : “La nostra storia è paragonabile a quella dei Desaparecidos, solo che qui non ci sono dittature, ma qui una persona è stata venduta, fatta sparire con la complicità o anche solo con il silenzio delle autorità, e noi che ci siamo affannati alla ricerca della verità siamo stati ostacolati in mille modi da chi invece doveva prodigarsi per ritrovarlo”.
“Quello che dico lo posso documentare, depistaggi dimostrati”.
“Poi quello che ti dicono dietro, cose del tipo “chissà quanti soldi ci avrete fatto con questa storia”, mentre io per fortuna ho i miei genitori che mi hanno aiutata, altrimenti non avremmo potuto neanche difenderci e combattere, ci sono state spese ingenti, e io quando accadde il rapimento, ero casalinga con due figli piccolissimi, non avrei mai potuto da sola”.
Non interrompo Marisa, la ascolto sperando le arrivi la mia solidarietà che si palesa immediata.
Marisa – “Io ho dedicato la vita a questa storia, si sono presi anche la mia di vita oltre quella di Davide, e hanno rubato l’infanzia ai miei figli”.
“Hai visto quante cose brutte dicono sul conto di Emanuela Orlandi? Quello è il destino delle famiglie vittime, diventare l’obiettivo di maldicenze; noi Pietro Orlandi lo stimiamo molto, perché riesce a controbattere a tutte le cattiverie dette sul conto della sorella e sulla sua famiglia, è un esempio per Noi e per tutti i familiari delle vittime di questi soprusi, che sono tante, troppe in questo paese.”
Cosa accadde quel 12 settembre?
Marisa: “Io ero con i miei figli ad attenderlo, verso le 17:30 sarebbe dovuto arrivare.
Passano le ore, e non arriva, lui era precisissimo, cominciano le telefonate ai colleghi ma niente, nessun contrattempo dal lavoro.
Visto quindi che non ricevevo nessuna notizia, chiamai mio padre che si precipitò, poi a sera tardi, abbiamo rifatto la strada a ritroso, fino alla zona industriale di Albano dove era la sua ditta, poi per ospedali, i pronto soccorso, ma nulla.
Comincia un incubo.
Io da sola, con due bambini piccoli, ho vissuto momenti terribili, sola qui in campagna.
Il pomeriggio successivo, passate le 24 ore per legge facciamo la denuncia di scomparsa.
Porto la foto di Davide e comunico la targa macchina, e qui inizia il primo dei tanti “misteri”, 5 giorni dopo scopriamo che la targa non era stata inserita nella denuncia, e poi smarriscono anche la foto di Davide, tant’è che anni dopo, ci chiamano dalla Caserma dei Carabinieri per chiederci se potevamo riportargliela .
Ripensando poi ai giorni precedenti, mi vengono in mente due episodi, il primo che qualche giorno prima un buco nella recinzione e poi un inspiegabile corto circuito alla macchina che fece scatenare un principio di incendio.
Quel giorno della macchina, pianse ed era la prima volta che lo vedevo così turbato,esagerato gli dicevo io, è solo una macchina, ma forse lui percepiva segnali di pericolo, visto che si era comprato qualche mese prima un fucile, mi diceva per difesa dagli animali selvatici, qui intorno, ma era nervoso e preoccupato”.
Alberto: “Nei giorni precedenti poi, strani movimenti di vetture, qui, un via vai su questa via molto strano, ed io lo avevo segnalato subito ai Carabinieri, che mi dissero che erano vetture mandate dal Ministero dell’Agricoltura per fare un censimento sui vigneti della zona, ma questo anche è molto misterioso, perchè solo anni dopo furono prodotti documentio che attestavano che questo censimento ci fosse stato”.
Quando si comincia a prefigurare un rapimento ?
Alberto – “Noi ci abbiamo messo un bel po’ a capirlo, giorni preziosi perduti. Ma qui che fosse un rapimento di quelli da segreto militare, chi di dovere lo sapeva da subito, come spiegare che appena dopo che il nostro vicino di casa, il primo testimone, dopo tanti giorni ci chiama e ci racconta (e fa mettere a verbale) di aver visto proprio il rapimento, alla caserma dei Carabinieri di Velletri arrivano di colpo il gotha del Sismi e della Marina, ed è provato questo, a dimostrare che il caso loro lo conoscevano già bene e che lo “attenzionavano”.
Marisa : “Altro che fuga volontaria, come si erano affannati a farmi credere per mesi, fuga d’amore .. magari fosse stata una fuga volontaria.
“Deve aver trovato quella macchina davanti al cancello, i testimoni dicono di colore verde, su cui è stato caricato, mentre un altro rapitore ha preso la sua macchina”.
“Noi colleghiamo la cosa ai segreti militari piano piano, dopo giorni, anche parlando con tutti i colleghi e amici di mio marito alla disperata ricerca di qualche indizio”.
Un suo ex collega della Marina ad un certo punto mi dice: – certo pensando al momento che stiamo vivendo ( era da poco iniziata la guerra in Kuwait ) e riflettendo su quello che facevamo sulla Nave Maestrale in Marina, il collegamento mi sembra probabile”.
“Io provai ad andare al Ministero della Marina, e con mio padre parlammo con un alto ufficiale della nave, che ci assicurò che non ci fossero legami, però poi dal giorno dopo inizia una processione qui in casa di Carabinieri e militari, che cominciarono da quel giorno a presidiare la zona iniziando le indagini”.
“Ed è qui che esce allo scoperto il nostro vicino di casa che racconta di quel rapimento che ha visto, cosa che gli rimproverano di non aver detto prima, ma lui si giustificò sempre dicendo che aveva avuto paura e che sperava in cuor suo che qualcuno si affacciasse a chiedergli qualcosa tra gli inquirenti che facevano le indagini”
Ci sono quindi come dicevi prima testimoni del rapimento?
Marisa – “Ci sono tre testimoni in questa vicenda:
il primo è il vicino di casa che ora è deceduto, ma che dichiarò di aver visto chiaramente il rapimento, avvenuto con una macchina verde che attendeva mio marito fuori al nostro cancello, e di averlo udito chiedere aiuto.
Lui ha visto tutto, anche se abbiamo personalmente assistito a tentativi di intimidazione da parte delle autorità che lo invitavano a riflettere su quello che dichiarava, ma che ha sempre confermato.”
Alberto: “Pensa che sentii che lui diceva ai Carabinieri che Davide lo chiamava gridando “Aiuto!”, mentre poi nel verbale è stato riportato che lo chiamava “per salutarlo”.
Marisa – “Il secondo testimone è l’autista dell’Acotral, che si trovava a passare all’incrocio tra la via Appia e via Colle dei marmi e che vede le due macchine sfrecciare all’incrocio, e che distingue chiaramente nei sedili posteriori due uomini che coprono con il corpo qualcuno.”
Il terzo, è uscito di recente, e se ne è parlato nella trasmissione Chi l’ha visto, che dice soltanto adesso di aver veduto le due macchine correre qui sulla nostra via, aggiungendo che una delle due, era senza tagliando di assicurazione.
Erika : “Ora, questo detto tra noi, ci fa piacere perché si aggiunge agli altri due testimoni, ma ci lascia molto sorpresi questa precisazione così strana, a distanza di 22 anni. Sembra una attenzione da “addetto ai lavori”, da un uomo abituato per mestiere a vedere contrassegni sulle auto, strano no?”.
Poteva entrarci qualcosa il suo lavoro da civile, che svolgeva al momento della scomparsa?
Marisa – “Assolutamente no, erano componenti elettrici, e registratori di cassa, niente di militare.
Nella Marina, invece, era esperto di guerre elettroniche, lui era un GE (tecnico di guerre elettroniche) e grazie alla trasmissione Chi l’ha visto e a Donatella Raffai che la conduceva, che fece un’ indagine minuziosa sul passato di mio marito, vennero fuori moltissime informazioni sulla sua specializzazioni tanto che scoprimmo fosse considerato quando era in Marina uno dei migliori tecnici a livello europeo”.
Perché si pensa alla Libia come possibile punto di arrivo di Davide dopo il rapimento?
Alberto – “La Libia era sotto embargo, aveva rimodernato tre navi militari negli anni 80 agli stabilimenti navali di Genova, arricchendole proprio con i sistemi di cui era esperto Davide. E poi ci sono degli avvistamenti in Libia, da due operai italiani che dissero che lo avevano visto, e tramite una trasmissione radiofonica con Michele Plastino, anche lui come la Raffai molto attivi nella vicenda di Davide, arrivarono queste segnalazioni che però poi non ebbero seguito da parte degli inquirenti”.
Si ritrova poi dopo 6 mesi la macchina di Davide, come avvenne quel ritrovamento?
Marisa – “Si, la trovarono sempre tramite la Signora Raffai, o meglio, con una lettera anonima davvero misteriosa, fatta trovare sulla scrivania dello studio di “Chi l’ha visto” negli studi della Dear a Via Nomentana, non spedita, proprio fatta trovare li. In questa lettera lo scrivente diceva che quel giorno del rapimento lui parcheggiando a Via Marsala a Roma era stato quasi urtato da un uomo biondo con i capelli lunghi che corrispondeva alle descrizioni fornite dai primi due testimoni, che aveva lasciato la macchina di Davide parcheggiata li.
Quel pomeriggio, io arrivai dopo l’apertura degli artificieri, mi feci accompagnare da una amica e a Via Marsala c’era il delirio tutto intorno, forze dell’ordine, polizia.. per passare fu una impresa.
Quando mi trovai li davanti ebbi un tuffo al cuore, c’erano le sue cose, ma la cosa molto strana fu che c’era la radio estraibile all’interno montata, con equalizzatore Pioneer molto costoso, a via Marsala che è una zona che sappiamo esser poco raccomandabile..insomma, ho avuto l’impressione che quella macchina ce l’avessero portata da poco”.
Alberto: “Tieni presente che li ci sono gli uffici delle Ferrovie dello Stato, e io ero all’epoca ferroviere; il comitato Davide Cervia, il primo, fu creato li, tutti erano allertati con la targa ecc. non posso crederci che nessuno l’avesse vista per sei mesi.
C’è poi un testimone che chiamò in trasmissione a Chi l’ha Visto e che dichiarò che un mese prima aveva notato uno strano movimento di Polizia intorno ad una macchina come quella di Davide, sempre a via Marsala, con alcuni agenti di Polizia intenti a fotografarla, tant’è che la Signora Raffai disse al testimone “ Lei quindi ci sta dicendo che ci sono due Polizie in Italia, una che si sorprende del ritrovamento ,ed una che già lo sapeva?”.
Come hai conosciuto Davide, e come mai da Sanremo, e da La Spezia lo troviamo qui a Velletri sposato e con due figli nel settembre del 1990?
Marisa: “Davide era arruolato in Marina, ci siamo conosciuti nell’82, perché lui quell’anno sempre per la Marina era stato mandato a Roma per un corso specialistico.
Io lo conobbi sul treno, andavo a Genova con amici e lui tornava a casa, insomma, ci siamo frequentati qui a Roma per tutto il corso, e poi.. beh, sei mesi dopo eravamo sposati, un colpo di fulmine!
Mi sono trasferita con lui a La Spezia dove era di stanza per la Marina, sempre imbarcato sulla Nave Maestrale.
Un anno e mezzo a La Spezia, e poi appena esce una legge che riduceva la ferma obbligatoria, si congeda, anche perché io ero già in attesa di Erika, e lui voleva esser vicino alla famiglia, mentre la vita di chi è imbarcato prevede molti periodi in mare.
Non se la sentiva più, stava bene nella Marina, ne parlava benissimo, però è stato più forte il richiamo dell’amore e dei figli.
“Un altro lavoro lo trovo sicuramente”, diceva – Era bravo e richiesto e infatti trovò subito lavoro qui vicino Velletri, dove ci eravamo costruiti questa casa sul terreno che era di mio padre.
Volle venire qui a Velletri, perché amava la campagna, era un ragazzo che amava gli spazi aperti.
Diventa uno dei responsabili della ditta dove lavorava, che faceva componenti elettrici ed elettronici, un lavoro che gli piaceva.”
Avete capito subito che era un rapimento dovuto alla sua specializzazione in Marina?
Marisa : “Si, beh non subito, ma dopo l’uscita dei testimoni e i documenti in cui erano attestati e dettagliati i livelli di specializzazione di Davide si.
Ricevetti poi una lettera anonima il 3 Gennaio 91, alla quale seguirono altre dello stesso tono, ma la prima fu terribile, scritta a macchina che diceva esattamente cosa era accaduto a Davide. Me l’avevano mandata dentro un biglietto di auguri per Natale, per mascherarla forse ad una eventuale verifica da parte di qualcuno.
Dettagliatamente si scriveva che era stato portato via per le sue competenze e mi terrorizzò tanto, scrivevano che io “avrei potuto fare ogni tipo di azione, ma che non ci sarebbe stato niente da fare, e di fare attenzione ai figli piccoli”.
Una lettera terribile, che scriveva sempre l’anonimo, era stata scritta da chi sapeva molto e che per coscienza voleva spiegarmi in che incubo eravamo entrati.”
Alberto: “ricevemmo altre minacce telefoniche che ci intimavano di abbassare i toni proprio qualche giorno prima che Donatella Raffai venne a Velletri sempre agli inizi del 91 a fare una conferenza stampa su questo argomento”.
Erika : “Sai quelle lettere che arrivavano a mamma, a rileggerle adesso avevano una forma come dire, “militaresca”, tecnica, non discorsiva. Usavano termini inequivocabili: senza punteggiatura, periodi lunghi senza interruzioni, come fossero verbali, in un Italiano corretto ma con forme tipo: il soggetto è stato agganciato, chi direbbe mai cosi se non chi ha dimestichezza con quel linguaggio militaresco?”
Marisa . “Del resto, lui conosceva il sistema missilistico Teseo/Otomat, di produzione italo – francese, questo lo abbiamo scoperto dopo, trovando attestati di partecipazione segreta ai corsi di sistemi di puntamento, uno fatto alla SMA di Firenze società che costruiva le testate di guida dei missili, missili venduti in Iraq e pensa un po’, in Libia.
Tutto torna. E secondo noi tutto è partito dalla Francia.”
Perché dalla Francia?
Alberto – “C’erano prove che un biglietto aereo della Air France, per la tratta Parigi- Il Cairo a gennaio 1991 era a nome di Davide Cervia.
Questo biglietto era stato emesso per conto del Ministero degli Esteri Francese.
Il giornalista Gianluca Cicinelli, (che ha scritto il libro su Davide), scopre che questo biglietto c’era, il tutto confermato dal direttore generale dell’Air France.
Dopo varie ricerche però cominciarono a dire che era un’ omonimia di un militare della Corsica. Quando poi dalla Criminalpol chiedono all’Air France copia di questo biglietto, come per incanto il biglietto diventa di una Madamoiselle Cervià facendo cadere la pista”.
Erika – “Papà, abbiamo scoperto poi aveva l’abilitazione NOS della Nato (il NOS per la NATO Security Clearance, nell’ordinamento italiano è un’abilitazione al trattamento di informazioni, documenti o materiali classificati segreti e/o riservati ).
“Lo abbiamo saputo dopo anni, lui era al livello più alto, quello segretissimo”.
Marisa – “Dicevamo di depistaggi? Pensa che in prima battuta la Marina ci rispose che Davide era una persona che lavorava in ambienti per nulla tutelati da segreto, perché mi chiedo questa reticenza nei confronti di un uno che era stato rapito? Che cosa si nascondeva?”
Alberto – “In un rapporto del Sismi, che abbiamo qui ( che mi mostra e che recita “rapporto classificato come segreto”) c’è scritto: “è possibile che la sparizione di Davide Cervia sia legata ad un rapimento ad opera di organizzazione internazionali quali la Libia, l’Iraq o Israele, con la complicità di organismi italiani. Il motivo sarebbe la specializzazione del Cervia nella guerra elettronica GE e nelle sue competenze indispensabili in quel periodo in quei paesi nell’imminenza della guerra del golfo, essendo esperto nella manutenzione di apparati elettronici ed armi vendute dall’Italia ai suddetti paesi.”
Che altro dobbiamo aggiungere?”
Siete stati oggetto di un attentato qui in casa da poco vero?
Erika – “Vieni, ti mostro che cosa ci hanno fatto”
Usciamo in giardino, e mi mostra nella casetta di servizio la finestra divelta e i segni sul muro dell’esplosione.
Erika mi spiega : “Io e mia nonna eravamo qui nei paraggi, probabilmente hanno azionato con un telecomando un esplosivo di quelli che si attaccano alle porte o finestre nei casi di assalto ai bunker, ancora non sappiamo con precisione”.
Fatto è che la finestra di questa dependance che utilizziamo per cucinare è esplosa letteralmente” (vedi foto ) .
“In un primo momento abbiamo pensato ad una fuga di gas dalla bombola, ma poi le bombole erano intatte, e l’interno della cucina anche, insomma, un attentato vero e proprio a scopo intimidatorio, il tutto pochi giorni prima che iniziasse il processo con cui chiediamo giustizia allo Stato”.
Di che processo parlate?
Erika : “Il processo civile contro Ministero della Difesa e della Giustizia, per i depistaggi che abbiamo subito nella ricerca della verità, per il diritto alla verità negato.
Sulla falsariga del processo intentato dai parenti delle vittime di Ustica, stesso studio di avvocati, e stesse motivazioni.”
Marisa: “Un processo che avrebbe un valore simbolico, perché potremmo avere un riconoscimento del fatto che questo è stato un rapimento perpetrato con finalità politiche e militari e che però significherebbe anche la chiusura di tutta la vicenda, riconoscendone la matrice ma non i responsabili.”
Alberto : “Si però nella motivazione se andasse tutto bene come per Ustica ci sarebbe un riconoscimento almeno per la famiglia, per i ragazzi, per mia figlia che hanno subito in questi anni una violenza indicibile.”
Pesa per voi questo cognome, è pesato in tutti questi anni nelle relazioni con gli altri?
Erika: “Guarda, intorno a me negli anni, a scuola per esempio, ho trovato sempre molta solidarietà. Ai miei compagni io non lo dicevo che papà non c’era, mentivo, dicevo che era a casa con noi. Era un gran peso certo, che io mi gestivo cosi, raccontavo che era fuori per lavoro. Adesso ho tanti amici che sono combattivi e partecipano alla mia battaglia per mio padre, anche con dei gruppi su Facebook che si occupano come dei blog di tener vivo e raccontare il caso.”
Marisa : “Ma 23 anni fa è stata durissima, eravamo trattati come appestati. Qui non ci conosceva nessuno, perché noi venivamo da fuori, non eravamo di Velletri, ci hanno bersagliato di fandonie con i giornali locali, in strada mi evitavano, io ero da sola con due figli piccoli, ho pianto tanto”.
I miei genitori mi hanno dato tanta forza, mi spingevano ad andare a testa alta.
Non trovavo lavoro, ho avuto difficoltà davvero all’inizio, e adesso però sento tanta solidarietà finalmente, ma è stato un lavoro lungo e difficile, non sono scappata, ho resistito”.
“Ho tanta rabbia, ci hanno massacrato la vita, io avevo 27 anni, ho subito mille angherie.. credimi, è difficile superarle, perché di fronte a fatti così evidenti sono rimasta sola nella mia battaglia, senza la comprensione e l’appoggio degli organi competenti”.
“Hanno battuto per mesi la tesi dell’allontanamento volontario, ad un certo punto pensa comparve, in una trasmissione su Rete4, un certo Carbone Giuseppe che asseriva di conoscere bene Davide, e che lo stesso Davide gli aveva confidato che lui non voleva più stare con la famiglia, e che voleva scappare all’estero.
“Questo personaggio è stato protetto, addirittura nascosto, ha fatto fiumi di verbali in cui diceva di esser suo amico, di averlo conosciuto a Taranto durante un corso, insomma, era secondo gli inquirenti “ l’asso nella manica”, la svolta delle indagini.”
“Poi anni dopo, lo stesso signor Carbone ritrattò dicendo che si era inventato tutto, senza dare una giustificazione. E questa sua ritrattazione, non è stata oggetto di nessuna azione penale, archiviata cosi, come se fosse normale dire cose false in una inchiesta cosi complessa e poi dire “ scherzavo”. Capito che voglio dire quando ti dico che mi sono dovuto difendere da tutto e tutti?”
Che uomo era Davide?
Alberto interviene affettuoso – “Davide aveva le mani d’oro, bravissimo nelle cose manuali, ideava e creava continuamente, aveva una passione per tutto ciò che era manuale. Andavamo d’accordo, io e mia moglie eravamo felici di lui”.
Marisa – “Amava l’aria aperta, i grandi spazi, in un appartamento non ci voleva stare, anche a Sanremo dove era nato viveva in campagna.
Era tanto simpatico, Davide, mescolava il suo dialetto ligure con le battute in romanesco, e poi anche un bravissimo cuoco! Sai che noi prepariamo ancora la torta di verdure alla ligure, come ce l’aveva insegnata lui, faceva i ravioli fatti in casa.
Fermo con le mani in mano non lo vedevi mai.”
Cosa pensi dentro di Te, Marisa, come pensi possa esser andata?
Marisa – “Fino a pochi anni lo sentivo vivo, ora non so, ho perso questa sicurezza, troppi anni sono passati. Non ci posso pensare al fatto che un uomo come lui, amante della famiglia sia stato privato del calore dei suoi affetti, se penso a questo mi viene un magone ancora adesso. Non penso riflettendoci, che abbia subito cose terribili nell’immediato, dopo il rapimento, io immagino lo avranno portato in un luogo segreto, e convinto a collaborare con mille promesse, o con ricatti, perché sicuramente serviva a chi lo aveva preso.
Allora certe volte io spero che in quei giorni, mesi abbia avuto qualche momento di relativa serenità, solo quello spero io per Davide”.
(link all’articolo originale: http://www.retrospettive.com/davide-cervia-la-vendita-inconfessabile-di-un-uomo-perbene/)