Il caso Bebawi: il delitto della Dolce Vita

clairedi Redazione direzione@calasandra.it

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29 marzo 2013

Sabato 30 aprile, alle 23.45, su Rai 3, “Il giallo e il nero” riproporrà il caso Bebawi, uno dei delitti più affascinanti della Dolce Vita. In studio ci sarà anche il “nostro” Fabio Sanvitale e per raccontarvi questa storia abbiamo scelto proprio un estratto dal libro che ha scritto a quattro mani con Armando Palmegiani, “Morte a via Veneto” (Sovera), in cui i due autori hanno compiuto nuove indagini sui grandi delitti di quel periodo, Bebawi e Wanninger.

Roma. È il 20 gennaio 1964, un lunedì. Un appartamento in silenzio, al terzo piano di una traversa di via Veneto. Le dieci di mattina. Un’ombra scura sul pavimento, vicino una finestra.  Qualche stanza più in là, una chiave che gira nella toppa. La porta si apre su una figura minuta, che si avvia verso una scrivania, delle carte, una penna. Dà un’occhiata, cerca qualcosa. Fruga. Niente. Fa qualche passo, percorre un corridoio, gira l’angolo, attraversa una stanza, fino a quella del principale. Bisogna trovare la sua rubrica del telefono, chiamare un po’ tutti. Ma dove diavolo è finito? Perché non risponde agli amici da giorni? Cos’è quella roba per terra? La figura getta un grido immenso: in quell’ombra, confusa col pavimento, c’è quello che un tempo era stato il suo principale. Il signor Farouk Chourbagi. Corre via.

Il giallo di via Lazio 9 è appena iniziato. Nel tardo pomeriggio gli strilloni già urlano nelle vie di Roma il titolo di “Paese Sera”: egiziano ucciso in via Veneto! Ma quando è avvenuto il delitto? Senza dubbio, per una serie di ragioni, nel pomeriggio del 18 gennaio precedente, sabato: due giorni fa.  (…) Gli spostamenti di Farouk Chourbagi ci dicono che fino alle 17.30 di quel giorno è stato visto vivo da più persone, non ultimo il portiere del palazzo dove abita, in via Savastano 7, ai Parioli, dal quale è uscito con la sua Mercedes grigia. Che ora se ne sta parcheggiata in modo assurdo proprio all’incrocio tra via Lazio e via Emilia, col muso che sporge ben oltre l’incrocio. (…) Mentre la Polizia interroga la figura minuta, la segretaria di Chourbagi, che risponde al nome di Arbib Karin, un medico legale si china sul cadavere, lo rivolta scoprendone la posa innaturale e ridicola che ogni cadavere assume quando si irrigidisce e diventa un blocco unico. E vede un po’ di cose: ferite sulla tempia sinistra, ferite che sono fori d’ingresso di colpi di pistola. E poi altri fori nella metà sinistra del torace. E poi ustioni, sulla parte sinistra del volto. “Ustioni? Un momento, come ha detto, ustioni?” chiede il capo della Mobile, Nicola Scirè.“Sì e guardi queste scolature, le vede? Queste, che arrivano fino al collo. Direi che è vetriolo”. Ma chi è che oltre che uccidere un uomo vorrebbe anche sfigurarlo da vivo? Che senso ha? si chiede Scirè.

piantina messaggero Ora che è morto in quello che è stato il suo ufficio, la Polizia cerca di capire chi sia stato in vita questo Farouk Chourbagi. Innanzitutto, uno giovane e ricco: 27 anni, presidente della società di import-export tessile Tricotex, con sede appunto in via Lazio. Tanto ricco da essere nipote di un ex ministro del Tesoro egiziano. Educazione ad Oxford e due o tre Mercedes nel garage. Insomma, niente male: il lavoro che vorremmo fare tutti. (…) A Roma faceva una vita brillante: locali notturni, molte amicizie, feste nella villa di campagna dei Badini Confalonieri. Un ragazzo molto educato, molto riservato. Con intorno molte donne, attratte da quel connubio, perfetto per dare sicurezza, fatto da una solida posizione, giovinezza, bellezza. (…) Grazie alle prime dritte date dalla Karin, vengono subito interrogati parenti ed amici della vittima.  E tra questi quello che dà subito una svolta alle indagini è Mounir Chourbagi, lo zio. E sì, perché dice qualcosa che attira l’attenzione. Quando gli chiedono se eleva sospetti su qualcuno, lui la risposta ce l’ha pronta e forse sono mesi che non vede l’ora di dirla: fa il nome di Claire Bebawi, egiziana anche lei. Claire, che ha avuto una lunga e tempestosa relazione con Farouk. Farouk, che zio Mounir descrive come un ingenuo, uno che non aveva capito che donna fosse quella là. Di Claire parla come una piovra, una nevrotica, innamorata in modo ossessivo di lui, innamorata anche del tipo di vita brillante che poteva condurre con lui. Più che una telefonata, quella di qualche giorno prima tra Farouk e Claire era stata una lite. No, la Karin non aveva capito cosa s’erano detti. Però, subito dopo, lui le aveva dato un espresso da spedire a Losanna, a questa Bebawi. E le aveva detto: “non mi passi più sue telefonate! Dica che sono partito, che sono a Milano, d’accordo?”. Ah, sì, ricordava anche di un’altra telefonata tra i due. Era avvenuta il 10 gennaio precedente . Lui ad un certo punto aveva gridato: “io non posso sposarti, non posso! Dimmi tu cosa devo fare! “. Cherchez la femme, allora. (…).

bebawiMa Armando mi guarda perplesso, riprende i vecchi fogli del sopralluogo dell’autopsia in mano e li rilegge una seconda volta, c’è qualcosa che non torna. “Abbiamo visto i rilevi della Scientifica che aveva rinvenuto quattro bossoli e quattro proiettili ed adesso cosa scopriamo nell’autopsia? Che dei quattro colpi che attingono Chourbagi uno di essi, quello che penetra nella metà sinistra della schiena, non esce. Ma allora, sai che significa questo? Che i colpi sparati sono cinque. Quattro proiettili recuperati dalla scientifica sulla scena del crimine ed uno recuperato dal corpo di Farouk…”. Guardo Armando allibito: possibile che nessuno se ne fosse accorto? Lui prosegue. “Quattro bossoli recuperati e cinque proiettili esplosi. Manca un bossolo.” (…) Si scopre che quel giorno i Bebawi, marito e moglie, sono atterrati a Fiumicino, da Losanna, dove abitano, alle 14.50. All’ hotel “La Residenza” invece ci sono entrati esattamente alle 16.35, dicendo che volevano restare fino a lunedì. Sono stati poco, nella camera 23, perché sono scesi verso le 17. Poi, lei è entrata nella cabina del telefono. Erano le 17.20. Poi erano usciti a passo svelto. Lei in pelliccia e con un foulard in testa, lui in cappotto grigio e colbacco. (…) Da Losanna arrivano altre novità interessanti. La Polizia svizzera ha rintracciato il commesso della drogheria Georgette, in Avenue Rumine 3, una grande arteria a 300 metri da casa Bebawi. Si chiama Daniel Viret, è un ragazzo dal sorriso aperto e contagioso, pulito, con il ciuffo sulla fronte. E che dice? Dice che Claire Bebawi è sua cliente abituale e che ha acquistato dell’acido da lui, qualche giorno prima. Il fatto è che, in Svizzera, il vetriolo si vende semplicemente e si usa per pulire maioliche, lavandini di marmo e lavandini.

Polizia Cantonale di Ginevra. Deposizione di Lussu Arnalda, proprietaria di una boutique e conoscente sia di M. Chourbagi che di M.me  Bebawi. “Erano stati profondamente innamorati, volevano sposarsi. Poi la relazione si era guastata perché il padre di lui si era opposto al matrimonio e Joussef, d’altronde, aveva scoperto la tresca. Lei era contrariata per questo ritardo, per l’opposizione al matrimonio della famiglia di lui; lui le chiedeva di pazientare e lei aveva perso la voglia di sposarlo. Claire era una donna molto nervosa ed isterica. Oui, c’est vraie, Farouk mi raccontò di essere stato minacciato più volte dalla Bebawi. Gli aveva detto che lui riteneva di poter avere tutto con la sua bellezza e che quindi meritava di essere sfigurato, mi ricordo bene. Nel novembre 1963 mi impressionò quanto Farouk fosse angosciato da questa relazione, non lo avevo mai visto così. Aveva molta paura di Claire, era stanco della loro relazione. (…) Joussef, invece, era molto riservato e freddo, era a conoscenza della relazione tra i due ed aveva del rancore verso Farouk ma, in quanto arabo, non lo manifestava. Col marito era divorziata dal 1963, ma continuavano a vivere insieme”. (…)

Ma, se è stata lei, se voleva a tutti i costi sposare Farouk, allora che stramaledetto motivo aveva per ucciderlo? E, se è stato lui, se voleva a tutti i costi riconquistare lei, che motivo aveva di ucciderle l’uomo che amava?

giallo neroE’ il 19 aprile 1963, alle 16.10, quando Joussef Bebawi rilascia la sua prima deposizione al giudice in Italia: è questo il momento in cui il delitto di via Lazio diventa un mistero nel mistero, acquista cioè la sua straordinaria unicità. Finora hanno entrambe negato. Ora succede molto di più. Joussef cambia tutto. 
Procura della Repubblica di Roma. Dichiarazione di Bebawi Joussef.

“Quando uscimmo dall’albergo, lei mi disse che andava dalla parrucchiera, ma io vidi che prendeva un’altra direzione e la fermai. Fu allora che mi disse che andava da Farouk, che voleva parlarci da sola, per chiudere la cosa. L’accompagnai davanti al portone, poi me ne andai. L’aspettai davanti “La Residenza”. Tornò e mi disse “gli ho sparato”. Risalimmo in stanza. Lei allora prese un fazzoletto dalla borsetta e intravidi la Walter 7,65: le chiesi perché l’avesse fatto e lei: “mi aveva rovinato la vita”. La vidi vuotare in bagno una bottiglietta e lei mi spiegò che era vetriolo, che l’aveva buttato su Farouk per accertarsi che fosse morto.  Presi la decisione di partire subito”. Ma perché ha aiutato sua moglie? Gli chiede il giudice. “Perché, pur avendola ripudiata, era la madre dei miei tre figli e volevo evitare lo scandalo”.

A  questo punto è chiaro che Joussef ha cambiato completamente la storia. Il gioco al massacro è iniziato.

Claire viene interrogata il 21 e sulle prime dichiara che non sa chi ha ucciso il suo ex amante. (…) Le dicono che Joussef l’ha chiamata assassina. L’accusa del marito la colpisce come una sberla. Ed allora è lei che accusa lui. Sì, era salita per troncare, vero, quando era apparso il marito con la pistola, forse la porta era rimasta aperta. Era apparso, insultando Farouk; che aveva risposto a parole e pugni, anzi aveva aggredito Joussef col vetriolo, lei terrorizzata era scappata in bagno e da lì aveva sentito i colpi di pistola. Farouk c’est fini. (…) Era stata lei? Era stato lui? Chi aveva sparato? Chi gettato il vetriolo? Era stato uno solo dei due? O si erano divisi i compiti? Sarebbe toccato al processo capirci qualcosa; e la faccenda non si presentava facile, visto che i due si accusavano a vicenda. Sarebbe stata, quella, una mossa di importanza incalcolabile. Sfilarono, su quella sedia, la bellezza di numero 120 testimoni. Era il 1966 e l’incredibile caso Bebawi era appena iniziato.

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via veneto